La rivoluzione di “Nostra Aetate”

Giovanni XXIII, foto da Chiesa di Milano
di Marco Riboldi

La dichiarazione conciliare “Nostra Aetate”.

Quando papa Giovanni XXIII iniziò a pensare al processo di rinnovamento conciliare, la questione della relazione con le  religioni non cristiane non era argomento di comune dibattito. Fu probabilmente decisiva la visita di un celebre storico ebreo francese,  Jules Isaac, che pose al pontefice  la questione del secolare atteggiamento di distacco, per non dire disprezzo, nei confronti degli ebrei e dell’ebraismo.

Jules Isaac, storico ebreo francese. Immagine da web

Va ricordato che papa Giovanni, quando ancora era il vescovo Roncalli, aveva avuto modo di vedere da vicino  la Shoah ed ebbe modo di impegnarsi direttamente per salvare gli ebrei. Incaricò quindi il cardinale Augustin Bea, gesuita e biblista, di preparare un documento sul rapporto tra la Chiesa e il popolo ebraico.

Alcuni vescovi del Medio Oriente suggerirono la opportunità che si formulasse anche un capitolo sull’Islam, che diventerà il capitolo 3. Dopo la morte di Giovanni XXIII, nel 1963, papa Paolo VI continuò il dialogo.

All’inizio del suo pontificato, Paolo VI diede la linea del rinnovamento ecumenico che intendeva proporre alla comunità cattolica. Pubblicò infatti la enciclica “Ecclesiam suam” dove si possono trovare parole come queste:

“Poi intorno a noi vediamo delinearsi un altro cerchio, immenso anche questo, ma da noi meno lontano: è quello degli uomini innanzi tutto che adorano il Dio unico e sommo, quale anche noi adoriamo; alludiamo ai figli, degni del nostro affettuoso rispetto, del popolo ebraico, fedeli alla religione che noi diciamo dell’Antico Testamento; e poi agli adoratori di Dio secondo la concezione della religione monoteistica, di quella musulmana specialmente, meritevoli di ammirazione per quanto nel loro culto di Dio vi è di vero e di buono; e poi ancora i seguaci delle grandi religioni afroasiatiche.”

Paolo VI – foto da Chiesa di Milano

Il 28 ottobre 1965  fu pubblicato il testo definitivo della dichiarazione “Nostra Aetate” sulle relazioni della chiesa con le religioni non cristiane.

 (Mi limiterò a una breve descrizione di tale documento che, essendo di poche pagine, può sicuramente essere letto cper intero molto rapidamente cliccando QUI).

La dichiarazione è formata da una introduzione, un capitolo sulle religioni in generale, uno sull’islam, uno sull’ebraismo e uno sulla fraternità universale.

I capitoli più generali stabiliscono principi di grande rilievo, riconoscendo la genuina ricerca di verità che abita nel cuore dell’uomo di ogni latitudine e che  trova in tutte le religioni, anche in quelle più lontane dalla cultura cristiana, il luogo delle risposte alle domande che agitano l’esperienza umana.

Tutti gli uomini sono  figli di Dio  e cercano la loro strada per ricongiungersi alla verità suprema: induismo e buddismo, per esempio, perseguono la liberazione dalle angosce  della nostra  condizione umana e il superamento dei nostri limiti verso una illuminazione liberatrice.

Concilio Vaticano II – foto da Vatican News

Si chiarisce, con una frase forte, soprattutto se si pensa al tempo un cui fu scritta, che “ la Chiesa Cattolica nulla rigetta di quanto è vero e santo in queste religioni”.

Parlando dell’Islam, si dice che pur nella diversità delle fedi, particolarmente visibile nel rifiuto di riconoscere Gesù come Dio, si possono trovare numerosi punti grandemente apprezzabili per un cristiano.

Il capitolo 4, sull’ebraismo, è quello più denso di significati e conseguenze: non a caso la sua contestazione è ancora oggi un cavallo di battaglia dei gruppi più retrivi.

Si afferma senza mezzi termini che il popolo di Israele va riconosciuto come quello con il quale la Alleanza fu stipulata e che questa Alleanza è la stessa che anima la speranza cristiana. ”Cristo, nostra pace ha riconciliato gli Ebrei e i Gentili per mezzo della Sua croce e dei due ha fatto una sola cosa in se stesso”.

Il Concilio quindi invita a considerare tanto grande il patrimonio spirituale comune tra Cristiani ed Ebrei da rendere necessaria la reciproca conoscenza, lo studio comune, il riconoscimento della radice santa da cui ci si sviluppano entrambe le religioni.

Importantissima  la rilevanza delle affermazioni circa la non imputabilità al popolo ebraico della morte di Gesù: si fa piazza pulita di secoli di ingiusta visione dell’ebreo come deicida.

Altrettanto ferma e netta è la condanna di ogni forma di antisemitismo: tutti figli dell’unico Dio, particolarmente vicini agli Ebrei, non si può in alcun modo tollerare “ogni teoria o prassi che introduce tra uomo e uomo, trar popolo e popolo, discriminazioni e  in ciò che riguarda la dignità umana e i diritti che promanano.”

Immagine da web

Oggi  val la pena di rileggere la breve dichiarazione, che in poche pagine ha completamente rinnovato il modo di intendere la relazione tra cattolicesimo e le altre religioni.

Mi pare infatti che oggi stia diffondendosi una nuova forma di sospetto nei confronti di chi è “altro”, con una progressiva incapacità di apprezzare la diversità e con una continua tentazione di rifugiarsi in certezze incapaci di confronto. 

Il documento “Nostra Aetate”, pubblicato esattamente sessant’anni fa, può rappresentare un prezioso antidoto: seguendo il suo invito al reciproco apprezzamento si può contribuire a ricomporre un mondo che rischia di frantumarsi in posizioni reciprocamente incomunicabili.

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