di Marco Riboldi
La Forza del destino. Anche quest’anno, il 7 dicembre si aprirà la stagione musicale della Scala di Milano. L’opera scelta per la inaugurazione di quest’anno è “La forza del destino” di Giuseppe Verdi. Benché quest’opera sia stata eseguita per la prima volta all’estero (a San Pietroburgo), la versione che viene solitamente portata in scena è quella che si ascoltò alla Scala nel 1869, sette anni dopo il debutto.
In questa seconda versione ci sono infatti numerose modifiche, a partire dalla aggiunta della celebre Sinfonia, che è un brano musicale tra i più celebri del Maestro di Busseto.
E’ un’opera che, dopo un buon successo iniziale, venne un po’ accantonata soprattutto all’estero, come travolta da altre creature verdiane quali Aida e Otello e dall’affermarsi di Wagner.
A partire dal 1919 (quando venne messa in scena al Metropolitan di New York), l’opera viene riscoperta e diventò molto popolare, soprattutto sulla spinta del pubblico tedesco che favorì il moltiplicarsi delle rappresentazioni. Da allora, l’opera non ha più lasciato il suo posto di primo piano tra le composizioni verdiane.
In un certo senso il suo pregio e quello che venne un tempo considerato il suo difetto si sovrappongono: è un’opera ricchissima, piena di materiali drammatici che vengono tutti svolti in modo compiuto, con una galleria di personaggi molto vari, che fanno intrecciare al compositore temi musicali molto diversi tra loro, che solo il genio di Verdi riesce a fondere in un insieme unitario, in modo non dispersivo, ma in grado “ di immergere i personaggi entro un ambiente reale e di sottolineare , per l’appunto, la forza imperscrutabile del destino, che in un mondo tanto grande (…) si diverte a ricongiungere quelle tre creature, Leonora, don Carlo e don Alvaro (…) per travolgerle verso il tragico destino “ (Massimo Mila).
Anche in quest’opera troviamo temi forti e cari a Verdi: anche qui un emarginato (l’indio Alvaro, come emarginati sono Rigoletto per la sua deformità o Violetta per la sua vita di mantenuta); anche qui un richiamo morale forte; anche qui un misurarsi con il destino che ha la forza del Fato degli antichi; anche qui il rapporto con il padre, come nel don Carlos.
In tanta ricchezza, impossibile enumerare i brani musicali: mi limito a segnalare la Sinfonia, il brano “Me pellegrina ed orfana” di Leonora, i duetti e il terzetto finale dl primo atto.
Vivace la scena della osteria del secondo atto e celebre l’aria “Vergine degli Angeli”, nonché il finale del secondo atto.
Il terzo e il quarto atto sono densi di momenti di grande musica e drammaticità che lascio scoprire o risoprire a chi ascolterà: dovrei indicare praticamente tutto.
Trama
Atto primo
Dopo la splendida sinfonia iniziale, ci troviamo nella Siviglia di metà XVIII secolo. Vediamo Leonora, figlia del marchese di Calatrava, decisa a fuggire con il suo amante Alvaro (discendente dagli indios) , ma presa da rimorsi, come confida alla sua dama di compagnia, Curra.
Le sue esitazioni fanno sì che i due amanti siano sorpresi dal Marchese. Per salvare Leonora, Alvaro si arrende, gettando a terra la pistola che impugna. Per tragico destino, dalla pistola parte un colpo che colpisce il marchese. Prima di morire, il nobile lancia la sua maledizione sulla figlia.
Atto secondo
Ci troviamo in una locanda dove ci sono mulattieri, un notabile del posto, e don Carlo, fratello di Leonora che sta cercando di rintracciare la sorella.
Anche la ragazza, sola perché lei e Alvaro si sono perduti, si trova nella locanda, ma travestita da uomo per non farsi riconoscere
Giunge una cartomante, Petrosilla, che invita i giovani a partire per la guerra imminente. Mentre giungono dei pellegrini, Don Carlo racconta la storia della sorella, ma nessuno pare interessato alla vicenda.
Sfuggita al fratello, Leonora si avvicina al monastero delle Vergine degli Angeli: dopo aver ricordato le sue vicende che ritiene abbiano causato la fine dell’amore di Alvaro per lei, chiede al padre guardiano, di diventare eremita in una grotta lì vicina: il frate approva, pronunciando una maledizione contro chiunque cercasse di scoprire il nomee della ragazza e il suo segreto.
Atto terzo
In Italia, Alvaro è soldato nella guerra del re di Spagna contro l’Austria. Crede che Leonora sia morta e spera di seguirla presto. Pensa anche ai suoi genitori, di sangue reale presso il suo popolo, che sono stati assassinati.
Sentendo delle grida, corre ad aiutare un compagno d’armi, don Carlo: i due, che non si conoscevano e che usano nomi falsi, si legano da un patto d’amicizia e di reciproco aiuto.
Nel corso della guerra, Alvaro viene gravemente ferito e affida a don Carlo un cofanetto di lettere: in caso di sua morte, don Carlo dovrà bruciare tutto, senza leggere gli scritti.
Insospettito dal fatto che Alvaro rifiuti una onorificenza, don Carlo fruga tra gli effetti personali dell’amico e score un ritratto do Leonora.
Alla guarigione di Alvaro, che ha deciso di ritirarsi in un convento, don Carlo gli rivela di sapere tutto di lui e di Leonora, rivela di esserne il fratello e di vivere solo per vendicare la morte del padre, uccidendo Alvaro e Leonora. Alvaro inizialmente rifiuta di spargere altro sangue, ma, insultato per la sua presunta codardia e per il suo essere indio, alla fine accetta la sfida. A spade già snudate, vengono interrotti dalla ronda, che impedisce il duello. Petrosilla, che ha seguito le truppe, predice la battaglia cui tutti rivolgono il loro pensiero.
Atto quarto
Sono passati cinque anni. Davanti al convento dove si è ritirato anche Alvaro, con il nome di frate Raffaele, frate Melitone sta distribuendo il cibo ai poveri, quando arriva don Carlo, sulle tracce di Alvaro.
Tra i due scoppia un duello, al termine del quale Alvaro ferisce a morte don Carlo e chiede che un religioso gli porga l’estrema unzione. Leonora, che dal suo eremo ha sentito i rumori del duello, accorre e vedendo il fratello va verso di lui che, in un ultimo sussulto, porta a termine la sua vendetta, uccidendo la donna.
Il terribile destino si è compiuto.