di Roberto Dominici
La pandemia che ha investito il mondo intero è stata connotata da un fenomeno unico nelle modalità di acquisizione delle conoscenze sulla biologia del virus, sui suoi meccanismi di replicazione nelle cellule, e di quelli alla base delle risposte del sistema immunitario per contrastare l’infezione che possono essere ben espresse dal concetto di “Speed Science”, cioè una impressionante accelerazione della ricerca scientifica. L’arco di tempo è stato davvero breve (1 anno), dal momento in cui lo scorso 31 dicembre 2019, le autorità sanitarie cinesi hanno notificato un focolaio di casi di polmonite ad eziologia non nota nella città di Wuhan (Provincia dell’Hubei, Cina). Un tempo straordinario, in cui si è realizzata una vera e propria corsa contro il tempo per giungere a soluzioni efficaci per fermare la pandemia.
Tutti i farmaci e i vaccini prima di essere sottoposti a studi clinici devono superare fasi precliniche di valutazione, controllo e verifica nei modelli animali prima di passare agli studi clinici per l’uso umano.
Sulla pagina ufficiale dell’EMA, l’Agenzia Europea dei Farmaci e uno degli organi regolatori mondiali, sono registrati ad oggi 71 prodotti tra farmaci agenti antivirali, anticorpi monoclonali, immunomodulatori e vaccini in fase di valutazione e di verifica di tutti i requisiti di sicurezza cioè gli studi di fase 1, e successivamente se i primi hanno un profilo positivo, quelli di efficacia cioè gli studi di fase 2 e 3 in cui vengono coinvolti migliaia di soggetti, che servono per verificare se un nuovo trattamento è migliore di quelli già esistenti o valutare l’efficacia di uno nuovo.
Queste fasi sono essenziali per giungere alla loro approvazione e per la loro immissione e distribuzione sul mercato dove vengono monitorati mediante la farmacovigilanza, l’insieme delle attività finalizzate alla identificazione, valutazione comprensione e prevenzione degli effetti collaterali o avversi e assicurare un rapporto beneficio/rischio favorevole per la popolazione. Tra i vaccini “work in progress” alcuni sono ormai noti anche al pubblico dei non addetti ai lavori e di questi cercherò di evidenziarne in breve le caratteristiche e le differenze. A causa della recente scoperta del virus e della difficoltà di prevedere il tipo di risposta immunitaria prodotta, le strategie adottate risultano molto diversificate fra loro e, di conseguenza, diverso è anche il tipo di vaccino in grado di proteggere dall’infezione. In particolare, i ricercatori stanno lavorando su tre tipologie di vaccini:
- Vaccino a RNA: si tratta di una sequenza di RNA sintetizzata in laboratorio che, una volta iniettata nell’organismo umano, induce le cellule a produrre una proteina simile a quella a quella verso cui si intende indurre la risposta immunitaria (producendo anticorpi che, conseguentemente, saranno attivi contro il virus). Questa è la strada intrapresa da Pfizer-Biontech e da Moderna. La tecnologia utilizzata per il vaccino della Pfizer (così come di Moderna) è estremamente interessante. Questo vaccino è infatti semplicissimo e si basa su quel pezzetto di RNA del virus che serve a produrre la porzione di proteina riconosciuta dagli anticorpi. L’idea è quindi di dare alle nostre cellule le informazioni per produrre la proteina Spike senza che il virus ci infetti. La presenza della proteina Spike nel nostro corpo genererà una risposta immunitaria e la produzione di anticorpi (perché è una proteina nuova per il nostro sistema immunitario). Quindi le persone vaccinate avranno i loro anticorpi neutralizzanti senza avere avuto l’infezione. Il grande vantaggio di questa tecnologia mai usata prima è che, se appunto dovessero comparire delle varianti (come le mutazioni N439K o D614G), sarebbe possibile inseguire il virus, modificando le informazioni (il pezzetto di RNA) che noi inviamo alle nostre cellule. E generare subito un vaccino nuovo ed efficace. E questo non riguarderà solo il COVID-19, ma sarà una tecnologia a disposizione per molte altre patologie. Nel caso del vaccino Pfizer, il virus non solo non si replica nei polmoni ma neanche nel naso: quando i macachi sono stati vaccinati e poi infettati, il tampone ha evidenziato la presenza di RNA solo al giorno 1 dall’esposizione al virus, mentre nei giorni successivi è scomparso. Questo significa che il vaccino induce una “clearence” molto rapida del virus, che non si replica neppure nelle alte vie respiratorie. Nel trial della Moderna, 15.000 persone hanno ricevuto il placebo, cioè una iniezione di soluzione salina. Di queste persone, 90 hanno sviluppato COVID-19, di cui 11 in forma severa. Altri 15.000 soggetti hanno ricevuto il vaccino, e di questi solo 5 hanno sviluppato COVID, di cui nessuno in forma severa. Moderna ha anche specificato che non si sono mai manifestati effetti collaterali gravi, con solo una piccola quota di partecipanti che ha sviluppato dolori muscolari e mal di testa di tipo transitorio. Come nel caso del vaccino Pfizer, per motivi temporali, al momento non sappiamo quanto durerà questa protezione, né possiamo escludere con certezza effetti collaterali anche se estremamente improbabili. Moderna ha dichiarato che, come Pfizer, richiederà entro fine mese la EUA (Emergency Use Authorization) alla US Food and Drug Administration (FDA), e in Italia dovremmo iniziare a vaccinare i soggetti a rischio (personale sanitario + anziani + soggetti con condizioni di salute che predispongono a COVID severo) entro dicembre.
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Vaccino a DNA: il meccanismo è simile al vaccino a RNA. In questo caso viene introdotto un frammento di DNA sintetizzato in laboratorio in grado d’indurre le cellule a sintetizzare una proteina simile a quella verso cui si vuole indurre la risposta immunitaria (vaccino sviluppato dalla Oxford University e IRBM di Pomezia e prodotto da Astra Zeneca). Nel caso del vaccino di Oxford, la carica virale degli animali vaccinati e poi infettati resta alta e il virus si replica nelle vie aeree superiori. Questo significa che un animale vaccinato non sviluppa i sintomi ma può essere contagioso. Ovviamente possiamo basarci al momento solo su questi dati e non su quello che accade negli uomini, ma gli esperimenti sugli animali si fanno perchè significano qualcosa, altrimenti ne faremmo tutti a meno.
Un altro vaccino di questo tipo è quello sviluppato dalla ReiTHERA (una company italiana) che si chiama GRAd-COV2 ed è basato su un vettore adenovirale (chiamato GRAd), derivante dai gorilla e modificato affinché non possa replicarsi. Questo vettore, brevettato dall’azienda, codifica l’intera proteina Spike, che consente al nuovo coronavirus di entrare nelle cellule umane. La sperimentazione clinica di Fase 1 in corso, sta valutando la sicurezza e l’immunogenicità di GRAd-COV2 su 90 volontari sani, divisi equamente in due gruppi con fasce di età: 18-55 anni l’uno e 65-85 anni l’altro.
- Vaccino proteico: utilizzando la sequenza RNA del virus (in laboratorio), si sintetizzano proteine o frammenti di proteine del capside virale. Conseguentemente, iniettandole nell’organismo combinate con sostanze che esaltano la risposta immunitaria, si induce la risposta anticorpale da parte dell’individuo.
Uno dei problemi che si incontrano quando si cerca un vaccino contro un virus è quello della pressione selettiva esercitata dal sistema immunitario sulla comparsa di mutazioni. Gli anticorpi neutralizzanti, nel caso del SARS-CoV-2, riconoscono dei pezzetti della proteina Spike, pezzetti che consistono in una certa sequenza di mattoncini, gli amminoacidi. La sequenza di mattoncini è determinata dal codice genetico del virus, il suo RNA. I virus a RNA mutano frequentemente durante la loro replicazione e possono quindi modificare questa sequenza. Questo avviene casualmente, ma se questa mutazione non permette agli anticorpi neutralizzanti di bloccare il virus, ecco che questa variante ha un vantaggio selettivo che le può permettere di affermarsi e diffondersi. La comparsa di queste mutazioni nei siti della spike riconosciuti dagli anticorpi è quindi molto preoccupante, perché vanificherebbe il lavoro fatto finora sugli anticorpi monoclonali e, in alcuni casi, anche sui vaccini.
Il vaccino a RNA è costituito da una capsula di grassi (lipidi) simili a quelli delle nostre cellule che protegge l’RNA stesso. Questo involucro, quando iniettato nel muscolo, può causare infiammazione. L’infiammazione è una reazione dei nostri tessuti e si manifesta con arrossamento, gonfiore e dolore. Questo non capita in tutti anzi! Ma in una piccola percentuale di persone può accadere che ci sia arrossamento localizzato e dolore muscolare. Il tutto si risolve in poche ore. A volte l’infiammazione causa il rilascio di molecole prodotte dalle nostre stesse cellule e queste, se in concentrazioni alte, possono lasciare il muscolo e raggiungere il resto del corpo. Ecco che in una piccolissima percentuale di persone (siamo tra il 2 e il 4%) si può avere stanchezza, mal di testa o febbre, come quando abbiamo l’influenza. Il tutto scompare in poche ore. Questi involucri lipidici vengono degradati rapidamente e non possono causare danni a lungo termine. Per quanto riguarda il contenuto degli involucri, si tratta nel caso dei vaccini a RNA, di una molecola di RNA messaggero, cioè sono delle istruzioni per dire alle nostre cellule di produrre una proteina. Tutto quello che fa questo mRNA è di farci produrre una proteina.
Nessun virus quindi e nessuna modifica del nostro DNA: solo una proteina. Questa proteina verrà riconosciuta dal nostro sistema immunitario come qualcosa di nuovo, producendo anticorpi contro di essa. Gli anticorpi prodotti saranno in seguito in grado di bloccare il coronavirus e proteggerci. Anche in questo caso, si può generare infiammazione che si può manifestare a livello locale o, nelle piccole percentuali che vi dicevo prima, anche con mal di testa o stanchezza o qualche linea di febbre.
Certamente sarebbe meglio avere un vaccino che non ha nessun effetto collaterale, seppur lieve, sul 100% delle persone, ma credo che, se anche io dovessi essere tra i pochi a sviluppare qualche sintomo, tutto sommato accetterei di buon grado qualche ora di mal di testa ed essere protetto dal COVID-19.
Per quanto riguarda la possibilità di effetti a lungo termine, la scienza li esclude, proprio per la natura del vaccino: lipidi e mRNA si degradano e non possono causare alterazioni stabili. Ricordiamo che i vaccini, quando arriveranno, avranno concluso una fase III con decine di migliaia di persone coinvolte e sarà approvato solo se a queste persone non avrà causato effetti collaterali importanti.
8 dicembre 2020