La storia di Lea Garofalo tra le mura di un carcere

lea garofaloPresentazione del libro “La Scelta di Lea” alla Casa Circondariale di Monza 

Insolito luogo per la presentazione di un libro. Luogo silenzioso – a prima vista – evitato, dimenticato, situato nella periferia monzese dal 1992. Luogo che evoca altri luoghi, generalmente fantastici, o meglio, attinti dalla filmografia, dunque estranei alla nostra realtà. Eppure, popolati, anzi, sovraffollati. Di detenuti, 800 circa. E di tutti coloro che operano alla loro riabilitazione, con la missione di rimetterli sul territorio, migliori nel loro Io.

Non credo ricapiterà ai molti che hanno partecipato una simile occasione. L’associazione antimafia Libera di Monza e Brianza ha deciso di presentare il libro di Marika Demaria “La Scelta di Lea”, con introduzione di Nando dalla Chiesa, nella Casa Circondariale di Monza, nella serata di sabato 23 novembre.

Una scelta ragionata e motivata che nasce da un’altra iniziativa, spiega Valerio d’Ippolito, referente di Libera di Monza e Brianza. All’interno delle mura del carcere, infatti, è attivo un laboratorio di pasta fresca ad opera di Verde Grano che coinvolge i detenuti nella lavorazione e nella produzione. I prodotti utilizzati provengono da Libera Terra, che fonda il suo credo su di un’economia basata sull’etica della legalità. Da qui nasce l’occasione per conoscere la realtà carceraria e approfondire temi riguardanti la giustizia, alla presenza della Dott.sa Maria Pitaniello, direttrice del carcere.

La vera occasione, però, è un’altra. È la necessità e il dovere di parlare –e mai sarà abbastanza- di questa donna, “ Lea, madre coraggio”. Questa donna che ha deciso di essere testimone di giustizia, compiendo tale scelta nel nome e per il futuro di sua figlia, una Cosco, che ha avuto l’audacia di sventare il clan che porta il suo nome. Una donna che ha deciso di testimoniare contro la sua famiglia, contro i suoi cari, imbattendosi in un film dell’orrore che si è concluso con la sua stessa morte.

La porta del dolore, scultura di Ernesto Galimberti
La porta del dolore, scultura di Ernesto Galimberti

La parola passa a Marika Demaria, la giornalista, l’unica giornalista che ha seguito sin dalla prima udienza del processo di primo grado la storia di Lea e di sua figlia, dimenticata dai giornali. Denise “animale da circo” per le grandi testate nazionali, seguita in maniera morbosa, di tanto in tanto, senza l’assiduità e la sensibilità che la situazione richiedeva e imponeva. Giornalisti pronti ad immortalare uno sguardo per suscitare  pietà nel proprio pubblico ma dimentichi del loro dovere di informazione.

Un libro attento, scrupoloso e preciso. Racconta i fatti, con puntuale zelo cronachistico. Racconta l’inimmaginabile. Al centro due figure femminili, figlie di una cultura che richiede ribellione. Lea e Denise.  Protagonista quest’ultima di un lungo e difficile processo, pronta e testimoniare contro suo padre, davanti agli occhi del suo ex fidanzato, l’uomo che è divenuto collaboratore di giustizia, svelando, nell’estate 2012, le dinamiche dell’omicidio di Lea. La sua testimonianza ha reso più facile il processo: imputare di omicidio un uomo o un clan, in assenza del corpo della vittima e di eventuali armi del delitto, risultava difficile. Gli avvocati difensori volevano far credere che la donna si trovasse in Australia, che fosse sparita abbandonando Denise, a cui era legata da un falso amore. Ed è proprio lui, Carmine Venturino, quell’uomo che era stato messo alle calcagna di Denise da cui era poi nato uno pseudo amore, a raccontare che Lea era stata strangolata da Carlo, padre di Denise. Ed è lui che ha inserito il corpo di Lea in una scatola e vegliato per due giorni e due notti quelle membra che piano piano divenivano cenere, in quel campo vicino al cimitero di San Fruttuoso.

Per Denise non è stato facile riscattare sua madre. Ad un certo punto del processo è nata la paura per la sua tenuta, ricorda Valerio. La pressione esercitata dai familiari su questa ragazza era troppo forte. Il familismo è ferrato dove divampa la criminalità organizzata, è la legge della ‘ndrangheta che lo impone. Denise, però, ce l’ha fatta, ha retto lo scontro con gli occhi del padre, dello zio, dell’ex fidanzato aiutando la Corte d’Assise d’Appello di Milano a confermare, nel maggio 2013, quattro dei sei ergastoli inflitti in primo grado.

Attenzione però, Lea non è stata uccisa dalla mafia. Meglio, la Corte d’Appello  non ha applicato al caso l’articolo 416 bis del Codice Penale, l’associazione di stampo mafioso. Nando dalla Chiesa insiste sulla difficoltà della magistratura settentrionale a convincersi del fatto che al “nord non occorrano molti più elementi di quanti ne occorrano nelle regioni a insediamento tradizionale” per applicare la 41 bis. Di là delle polemiche più o meno attuali sulla legge, ciò che si vuole sottolineare è il mancato riconoscimento di omicidio a stampo mafioso. Tutto qui. Destino curioso quello di Lea, vittima di un delitto tutto familiare che, però, con le sue testimonianze ha sventato capi cosca e ‘ndranghetisti.

Intanto, grazie alla presenza civile a fianco della ragazza durante il processo, Denise ha impedito alla mafia di farsi condizionare dal pubblico. Tantissimi i ragazzi, di Libera e non, che hanno dimostrato vicinanza a Denise e che l’hanno così aiutata nel delicato processo atto a far emergere la verità. Prima da Milano, poi, piano piano, si sono aggiunti ragazzi da tutta Italia. Petilia Policastro, paese di origine di Lea, però, non ha mai risposto all’appello: assente, sempre. Pullman organizzati senza adesioni.

Marika Demaria presenta il suo libro nella Casa Circondariale di Monza. Parlare di Lea all’interno delle mura che ospitano collaboratori di giustizia, mafiosi e quant’altro, non è semplice. Ma non è semplice nemmeno attraversare il cortile vedendo proiettate sulle mura contorni di figure in controluce che guardano dalle sbarre alla tua libertà, arrabbiati, aitanti. Noi entriamo per uscire. Loro entrano per rimanere. E sorgono milioni di domande, sorge la curiosità di capire le loro storie, le vite di questi ragazzi che servono pasta fresca fatta da loro, con visi “da vicini di casa”, protagonisti, però, di un trascorso funesto e incapaci di rispettare la libertà altrui. Il senso di impotenza, però, è inspiegabile.

Camilla Mantegazza

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