di Elena Borravicchio
Cosa può spingere una donna impiegata da decenni in ruoli importanti nel settore bancario a licenziarsi e lasciare tutto?
«Durante un’esperienza di volontariato in Tanzania, nell’agosto 2014, ebbi quasi una folgorazione» racconta Tiziana Bernardi, oggi “ambasciatrice” del monastero benedettino di Mvimwa, che conta 130 monaci tutti africani.
Sotto la croce, sui monti del monastero ho avuto una specie di visione. Ho percepito me stessa bambina nata in quell’ambiente, in quella savana, che tanto mi ricordava le mie colline toscane dove si trova Nomadelfia, nel comune di Grosseto, e mi sono chiesta come sarebbe stata la mia vita se si fosse svolta qui, in Africa. Avevo capito, non c’erano dubbi, dovevo dedicarmi al monastero di Mvimwa».
Dopo questa visione Tiziana decise di vivere per l’Africa, per i villaggi sperduti della Tanzania. La sua scelta rivoluzionò il mondo interiore di Tiziana, allora top executive di un importante Gruppo Bancario internazionale, moglie, mamma di due figli. Non mutò quello esteriore: la sua vita sarebbe proseguita tra i suoi affetti, in Italia, nella casa di Cornaredo, ma con frequenti viaggi a Mvimwa e un lavoro professionale a distanza, ricco dell’esperienza manageriale precedente (con tanto di piani pluriennali di sviluppo e fondi per gli investimenti di sponsor importanti). Tutto volto, in questo caso, a rafforzare il ruolo del monastero per favorire il progresso nella vita sociale ed economica dei villaggi tanzaniani.
Intorno al monastero ruotano infatti oltre 23 mila persone, distribuite in 10 villaggi rurali. Le condizioni di povertà sono estreme: nelle case non c’è acqua, luce e neppure i pavimenti. Il tasso di malnutrizione infantile tocca il 70% e basta una banale infezione per morire. In questo territorio immenso, lontano dalle città e quasi privo di strade e collegamenti, il monastero gestisce una scuola primaria con oltre 350 bambini, alcune scuole professionali, un dispensario, un efficiente reparto di maternità e ora si sta costruendo un ospedale.
Senza contare gli scambi culturali con gli universitari italiani che, grazie a Tiziana, vanno a Mvimwa ogni anno a fare stages, ricerca scientifica e studi delle materie accademiche utili allo sviluppo.
«Le radici non si perdono, ma mai avrei creduto di ritrovarle in Africa» ha detto Tiziana, riferendosi a Nomadelfia (dal greco “Dove la fraternità è legge”), una comunità di famiglie basata sulla fraternità evangelica, fondata nel 1947 nell’ex campo di concentramento di Fossoli, vicino a Carpi, da don Zeno Saltini, dove tutt’oggi vive la sua nonna Ada, “mamma per vocazione” di 45 figli.
Nella comunità di Mvimwa, ritrovai lo stesso spirito di amore respirato da bambina nella mia comunità di Nomadelfia. Lo Spirito Santo, a prescindere da me che mai avrei immaginato una cosa del genere, ha capito che le due comunità avrebbero potuto incontrarsi». Oggi, sorpresa nella sorpresa, dopo un anno intero di pensieri e preghiere tra la Toscana e la Tanzania, tre famiglie italiane si stanno preparando a partire per Mvimwa, per costituire insieme ad alcune famiglie africane, la prima comunità di Nomadelfia dell’Africa (la prima in assoluto fuori dall’Italia). Una novità di eccezionale portata.».
La vita Tiziana è andata oltre le sue aspettative. Prima era una donna in carriera profondamente realizzata.
“Per me l’azienda era come una famiglia, ho avuto successi professionali che non mi sarei mai sognata. Ma quando si presentò una grave malattia di mio marito allora le mie certezze vacillarono. Carlo è sopravvissuto ad un tumore raro, devastante”.
Non so come fosse prima Tiziana, di certo oggi è una donna felice e spiega con queste poche il senso di tutta una vita:
«Guardandomi indietro mi rendo conto che la vita professionale così intensa è stata l’allenamento, null’altro che l’allenamento, per un campionato d’amore tutto da scoprire».