di Alfredo Somoza
I bombardamenti alle forze combattenti dell’ISIS da parte della Turchia sono stati salutati come una “svolta” di Erdogan, finalmente allineata con Washington e facente parte della coalizione anti-Califfato. Se invece di svolta diciamo cortina fumogena rilasciata ad arte per coprire il vero obiettivo forse capiamo di più il disegno di Ankara. L’ISIS, generato, armato, formato e sostenuto da un vasto cartello di paesi arabi sunniti, tra i quali la Turchia, non è mai stato un problema per Erdogan, anzi. L’altra parte dell’attacco turco, quello contro le forze combattenti curde del PKK, svela invece cosa c’è dietro il fumo. I curdi sono il nemico di sempre, sono quella maledetta minoranza che non ha mai accettato di scomparire come entità politica e culturale dopo la fine dell’Impero Ottomano e la conseguente disgregazione del Kurdistan tra 5 stati. Sono quella minoranza agguerrita che proprio in Turchia ha appena incassato un piccolo-grande successo politico, portando in Parlamento oltre 50 deputati, dopo avere provato per anni la via armata senza successo. I curdi che sono diventati autonomi in Iraq, che lo diventeranno presto, se riusciranno a sopravvivere, in Siria, e che ora preoccupano più di prima Erdogan. Nel marasma mediorientale, dove si stanno disgregando interi stati, solo i curdi, pagando un prezzo altissimo, stanno avanzando invece verso la loro utopia di rivedere un giorno un loro paese indipendente. Per questo i bombardamenti turchi all’ISIS, un grande “alleato” nel lavoro di “contenimento” dei curdi, non può essere l’obiettivo vero, caso mai è stato il prezzo che Ankara ha dovuto pagare a Washington per rimettere mano alla questione curda.