Comunque vada, la nazionale di calcio femminile dello Zimbabwe ha già vinto. Perché la formazione è la prima squadra di un Paese dell’Africa meridionale ad essersi qualificata in una competizione calcistica a livello mondiale e le ragazze sono le prime a rappresentare lo Zimbabwe in uno sport di gruppo negli ultimi 26 anni.
La qualificazione, poi, per queste giocatrici che per la maggior parte hanno alle spalle una difficile situazione familiare e che in molti casi sono orfane, rappresenta un traguardo ben oltre ogni aspettativa.
Per loro giocare vincere qualche match a calcio a livello nazionale, era fino all’anno scorso la medaglia massima a cui aspirare. Anche perché, in Zimbabwe, gli sportivi non hanno vita facile: le strutture di allenamento sono inesistenti, la possibilità di un’alimentazione adeguata non è quasi mai garantita, gli spostamenti nel Paese per partecipare a gare e tornei sono difficoltosi e il salario per gli atleti è ben al di sotto di una soglia minima accettabile.
Le ragazze, poi, devono affrontare ulteriori problemi: non è raro infatti che uomini in posizioni influenti si offrano di facilitare la carriera sportiva delle giovani in cambio di favori sessuali, come testimonia lo scandalo che coinvolse l’ex calciatore e allenatore della nazionale femminile Tauro, accusato di aver intrattenuto una relazione con la sua giocatrice Yesmore Mutero, deceduta pochi mesi dopo per Hiv.
Questa vicenda ha insegnato qualcosa alle giovani calciatrici che all’inizio di quest’anno hanno scioperato contro le quote non pagate relative alla stagione precedente (circa 3500 dollari ciascuno), hanno protestato contro le sistemazioni fornite dalla federazione che per le trasferte pagava solo alloggi scadenti senza servizio lavanderia e senza pranzi compresi.
Le fasi a gironi in dirittura d’arrivo ai Giochi olimpici hanno già depennato la nazionale africana dalla lista dei quarti di finale ma in queste condizioni, la qualificazione per Rio – ottenuta contro la favoritissima squadra del Camerun – è già un miracolo.
Come racconta la capitana Mavis Chirandu, portata in orfanotrofio da un passante che la trovò nei cespugli dove la madre l’aveva abbandonata subito dopo il parto: «Credo che quell’uomo sia passato da quella strada per un motivo. Lo ringrazio e mi piacerebbe incontrarlo un giorno. Se potessi, vorrei comprargli un biglietto aereo per venire a Brasile per le Olimpiadi a vedermi giocare: sono sicura che sarebbe così fiero di me. Mi sono innamorata del calcio da bambina e da allora non ho mai cambiato idea. Ho giocato per un club di Bindura e il mio sogno è stato sempre quello di rappresentare il mio Paese. La qualificazione per le Olimpiadi è al di là di quel sogno».
Ilaria Beretta
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