
di Martina Citterio
Il premio Nobel per la letteratura è un riconoscimento a cui ogni scrittore ambisce per coronare la propria carriera. Nel 2017 è stato assegnato allo scrittore inglese, di origini giapponesi, Kazuo Ishiguro. Si era dato per favorito l’ormai popolarissimo, anche in Italia, scrittore giapponese Murakami Haruki, scampato inaspettatamente alla vittoria.
Da uno scrittore nato in Giappone e migrato in Gran Bretagna potremmo aspettarci la nostalgia per la propria terra, il rimpianto di non esserci cresciuto (la famiglia di Ishiguro si è trasferita quando lui aveva sei anni). Invece Kazuo Ishiguro ci ha sorpreso, con affascinanti romanzi tipici dell’immaginario inglese, dai quali sono stati tratti anche dei film – come “Quel che resta del giorno” e “Non lasciarmi” – che ebbero un discreto successo. Lo scrittore ha sì parlato del proprio paese di origine ma nei romanzi giovanili, per poi giungere alla consapevolezza di appartenere ad un orizzonte diverso, più decisamente occidentale, seppur mantenendo alcune differenze, in quanto crebbe da genitori giapponesi che diedero alla sua educazione una certa impronta.
Finalmente è stato premiato un romanziere, di stampo decisamente classico. Forse il ritorno alla dimensione del classico era proprio quello che serviva alla letteratura contemporanea, in un momento in cui la poesia si sta avviando verso la volgarità linguistica e in cui al romanzo sta scivolando via un po’ della sua autorità.
In una società in cui “cambiamento”, “innovazione” e “progresso” sono le parole d’ordine, uno sguardo al passato e il rispetto per ciò che ci ha preceduto non possono far altro che bene.