L’accoglienza tra memoria e redistribuzione

di Francesca Radaelli

“Ricordare e commemorare tutte le vittime dell’immigrazione e promuovere iniziative di sensibilizzazione”. È lo scopo con cui, il prossimo 3 ottobre, si celebra la Giornata della memoria e dell’accoglienza. Due parole che oggi abbiamo sempre più il bisogno, ma anche da un certo punto di vista l’obbligo, di coltivare.  E una data simbolica, che ricorda il giorno in cui, nel 2013, 368 persone tra bambini, donne e uomini persero la vita in un naufragio a largo di Lampedusa.

A Monza la rete Brianza accogliente e solidale ha organizzato per le 18 un presidio i davanti all’arengario, invitando i partecipanti a indossare una maglietta rossa e ad ascoltare l’intervento di Fabrizio Gatti dell’Espresso.

Intanto forse in Europa qualcosa sembra muoversi.

“Chi arriva in Italia arriva in Europa” è infatti principio sancito dalla bozza di accordo sottoscritta la scorsa settimana a Malta dai ministri di Italia, Francia, Germania, Malta e Finlandia. A dirlo, salutando con soddisfazione la firma del documento, è stata la ministra dell’Interno Luciana Lamorgese.

Effettivamente il documento prevede una serie di novità sulla gestione dei migranti: la redistribuzione tra i paesi che aderiscono al patto, che dovrà avvenire in tempi rapidi, massimo quattro settimane; il fatto che i migranti non saranno più a carico del paese di primo ingresso, nemmeno per il rimpatrio; infine la rotazione su base volontaria dei porti di approdo. Bisogna però precisare che la redistribuzione riguarderà solo i migranti salvati da navi ong o militari: restano esclusi dunque gli sbarchi ‘clandestini’, che ad oggi costituiscono la maggioranza.

L’accordo, che deve ancora essere discusso  nel vertice Ue del prossimo 8 ottobre e convincere anche gli altri 24 paesi dell’Unione, prevede una fase sperimentale, per poi provare ad estenderlo ad altri paesi.

Giudicato da molti un grande passo avanti, soprattutto dopo che la proposta del Parlamento europeo di revisione del regolamento di Dublino si era arenata definitivamente nel dicembre 2017.

L’accordo lascia però, visibilmente, molti interrogativi aperti. Innanzitutto le Ong si trovano a dover sottostare a diversi obblighi in più nel compiere le operazioni di soccorso in mare, tra cui quello di non ostacolare le operazioni della controversa guardia costiera libica.

E poi lo stesso principio di volontarietà su cui si basa il meccanismo di distribuzione dei migranti: chi vuole potrà accoglierli, ma nessuno è obbligato, e l’accoglienza può essere interrotta in ogni momento per ragioni di convenienza.  Per non parlare della decisione di intervenire solo in aiuto di Italia e Malta, che si trovano sulla rotta del Mediterraneo centrale, mentre sono state Spagna e Grecia a vedere aumentare negli ultimi tempi il numero degli sbarchi.

Non è poi chiaro che fine faranno i migranti che sono approdati in Europa in maniera autonoma, senza cioè essere ‘salvati’ da navi militari o Ong. Saranno re-distribuiti anche loro? Né, tantomeno, è chiaro se la redistribuzione riguarderà solo i richiedenti asilo o anche i migranti ‘economici’ (che secondo le norme attualmente in vigore dovrebbero essere rimpatriati).

Al di là delle problematiche sollevate, è senz’altro positivo che i Paesi europei, o almeno alcuni, siano arrivati a una bozza di accordo sulla gestione degli arrivi in una prospettiva più comunitaria. Ma, al di là della gestione (complicata e problematica, certo) di chi arriva, proprio ricordando il naufragio del 3 ottobre 2013, occorre non dimenticare l’alto grande problema: quello umanitario delle morti in mare ‘per migrazione’. Queste possono essere combattute soltanto in un modo: lavorando anche a livello europeo per offrire ai migranti vie legali e sicure per accedere all’Europa. 

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