di Eleonora Duranti
Se leggessimo la biografia di Vincent Van Gogh, concluderemmo che fu un uomo sfortunato, rovinato dalla povertà e dai propri demoni interiori. Se osservassimo, però, i suoi quadri, trarremmo, molto probabilmente, una considerazione diversa. La sua arte, infatti, è la prova che Vincent Van Gogh fu soprattutto un genio. Fragile, sì, ma eccezionale. |
Il piccolo Vincent se ne stava alla finestra da un po’, i gomiti poggiati sul davanzale e le mani che, chiuse a pugno, sollevavano e rendevano ancora più paffute le sue guance arrossate dal freddo.
Aveva atteso con impazienza che i genitori si coricassero e aveva aspettato con trepidazione che l’intera casa si addormentasse. Si era alzato soltanto quando aveva avuto la certezza che tutto era immobile e sospeso come in una dimensione senza tempo e lo aveva fatto in punta di piedi, per non interrompere neppure il ritmico gocciolio dell’acqua nel secchio. Non voleva rischiare di destare l’attenzione del vecchio topo del granaio che, sicuramente, con il suo orecchio fino, avrebbe captato anche la benché minima variazione di quella ninnananna; né aveva intenzione di aizzare la curiosità delle tarme del solaio, laboriose quanto pettegole.
Non era stata un’impresa difficile…
Ormai, quella di mettersi a guardare il cielo notturno, era diventata un’abitudine, una tradizione… E Vincent non sarebbe andato a letto, se, prima, non avesse aiutato maga Madeleine a dare forma alle stelle.
Vincent adorava maga Madeleine… Dall’alto della sua stanzetta, scrutava le strade del paesino in cerca della sua veste leggera e dei suoi lunghi capelli turchini e a malapena respirava, per non guastare il suono della sua arpa incantata.
Già…
Perché maga Madeleine era una creatura fatata e Vincent lo sapeva. Conosceva il suo segreto e se lo sarebbe portato nella tomba, a ogni costo! Aveva promesso e, lui, manteneva la parola. Non come gli altri bambini…
Per questo maga Madeleine lo aveva scelto e nominato “aiutante stelliere”. Non era mica per tutti, un’onorificenza simile… Richiedeva talento, oltre a una predisposizione naturale all’immaginazione…
Otto, il grasso gatto dei vicini, ne rideva e non faceva che miagolare che quelle stelle, enormi e rotonde come tanti soli, non avrebbero provocato altro che fuoco, tempesta e distruzione. Ma Otto era un animale triste e annoiato, che si crogiolava nella negatività e si beava delle sfortune altrui… Così, Vincent aveva finito per ignorarlo e aveva continuato nella sua missione.
La sera, fingeva la testa pesante e si infilava svelto sotto le coperte, dopodiché contava i minuti.
L’attesa era un’agonia…
Tuttavia, maga Madeleine arrivava sempre. Puntuale, scendeva le colline e attraversava i campi pizzicando le corde del suo strumento; poi, si sedeva alle radici del cipresso lontano che, insieme al campanile, si illudeva di poter, un giorno, sfiorare il cielo. Infine, maga Madeleine intonava un’arcana melodia e, allora, la luna si levava alta sul mondo.
Vincent amava assistere a quello spettacolo… Tanto da non percepire la presenza del vecchio topo del granaio… Né il chiacchiericcio delle tarme del solaio… Né i lamenti del gatto Otto.
I suoi occhi erano solo per le stelle.
Erano così luminose, che nemmeno l’Apocalisse avrebbe potuto spegnerle.
Vincent Van Gogh, Notte stellata (Cipresso e paese), 1889. Olio su tela, 73,7×92,1 cm. New York, The Museum of Modern Art