L’amore nel Medioevo: Tristano e Isotta

di Vladislav Karaneuski

La storia di Tristano e Isotta risale ad una lunga e remota tradizione letteraria. Infatti è stata presentata in molte forme e in molte versioni. In alcune di queste, Tristano è un cavaliere della tavola rotonda, in altre no, in alcune Isotta pare un personaggio machiavellico, in altre è più dolce e gentile.

Il Tristano e Isotta di Thomas invece dà una certa preminenza all’aspetto cortese e nobile dell’amore. Un amore che arriva a nobilitare i personaggi nonostante, di fatto, fosse un amore adultero. Una contraddizione non così comune per il Medioevo. Allora l’amore, inteso sia come fisico sia spirituale, in quanto sentimento alto e nobile, anche in una dimensione di adulterio, rimane comunque un sentimento che nobilita il cuore.

Tale contraddizione, almeno in una visione medievale della filosofia amorosa, verrà poi aspramente criticata, soprattutto da Chrétien de Troyes nel Cligès, il quale non potrà concepire che un amore nobile  sia frutto di adulterio. Di fatto l’adulterio c’è ma non scaturisce della volontà degli amanti. È una pozione bevuta accidentalmente dai due sulla nave, dove Tristano scortava Isotta per portarla dal suo promesso sposo Re Marco, che li porta a non poter più separarsi. Maria di Francia arriverà a paragonare, in un suo lais (componimento lirico di argomento amoroso o fantastico), l’amore tra Tristano e Isotta come il rapporto simbiotico che c’è tra il caprifoglio e l’albero di nocciolo. Infatti le due piante possono vivere unite, insieme, ma se si prova a staccarle, moriranno entrambe. E questa sarà anche la sorte dei due amanti, che moriranno abbracciati, senza però aver esalato l’ultimo respiro insieme. La vicenda racconta che  Tristano, ingannato intenzionalmente dalla moglie, si lascerà morire senza prima aver salutato la sua amata. Arrivata al suo capezzale, Isotta anche lei senza più ragione  per continuare a vivere  ”si distese vicino a lui, lo strinse tra le braccia e si adagiò, e fu così che rese l’anima” (versione del finale lungo). Un amore forte che va al di là di tutto, che dimentica tutto e che non lascia altro nelle vite degli amanti che il tempo per sospirare.

Un’altra bella concezione amorosa che si può estrapolare dal testo è quella relativa al monologo di Tristano. Lui si trova lontano da Isotta, non l’avrebbe più rivista dopo l’esilio, e così decide di accettare in sposa una donna che ha in comune con la sua amata soltanto il nome: Isotta dalle Bianche Mani. Lo fa perchè vuole provare la stessa condizione di Isotta che è sposata a Re Marco, e desidera che ci sia una perfetta simmetria tra la condizione dell’una e dell’altro.

Ma l’amore, come ci spiega Thomas, è l’incontro tra la dimensione del ”desir’‘ e quella del ”voler”. Quella del ”voler” è la dimensione vicina alla ragione e porta Isotta a capire che suo marito è il suo unico uomo e pertanto dovrebbe amarlo. Ma qui si pone il muro del ”desir”, concezione lontana dal conscio, una dimensione involontaria, impossibile da domare, che la porterà a provare amore solo per Tristano. Pochi istanti dopo aver chiesto la donna in sposa, Tristano si sarebbe chiuso nella sua stanza, a riflettere, a meditare sull’accaduto, a chiedersi se quella azione fosse stata giusta. Ciò che ne scaturisce è un monologo interiore, un dialogo con se stesso, che lo spinge ad essere il più franco e onesto possibile. Una delle prime considerazioni che emerge dal monologo è il suo desiderio di felicità per Isotta. Per essere felice Isotta dovrebbe dimenticare Tristano e l’amore per lui.  Il protagonista arriva a desiderare profondamente la felicità di lei con suo marito. Desidera che lei riesca ad unire la dimensione del ”voler” e del ”desir” con Re Marco.

Non sarà mai così, ma ciò che trovo assai interessante è questo desiderio di un amante, così innamorato della propria amata, da disinteressarsi completamente del proprio sentimento e della concretizzazione della sua relazione  per arrivare a desiderare solo la felicità dell’altro. Tristano sapeva che non si sarebbero mai più rivisti in vita e a questo punto la speranza di averla si tramuta nella speranza della sua felicità, a fronte di una vita immersa nel languore per il nostro eroe.

A posteriori penso sia una delle concezioni d’amore più alte e più nobili possibili, perchè così poco materialista e così tanto vicina a quella dimensione spirituale e intellettuale dell’amore, lontana da propositi meramente fisici.
Chissà, mi chiedo, se dopo più di 800 anni le persone riescono a formulare questi pensieri quando l’amore che provano per qualcuno non può realizzarsi. Chissà, se in una società così votata all’immagine, all’aspetto, alle apparenze,   c’è ancora spazio per questa bellezza.

Molto spesso ci perdiamo dietro alla superficialità del nostro tempo e ci dimentichiamo di quanta bellezza ci possa essere in quel brutto, polveroso, vecchio libro. Allora riapriamoli quei tomi medievali, diamo loro ancora spazio nella nostra esistenza. Alcune cose spesso ci paiono vecchie, perchè remote nel tempo, ma in realtà sono così vicine, semplicemente non riusciamo a scorgerle. 

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