di Francesca Radaelli
In che cosa consiste l’arte di insegnare? Come si gestisce l’emotività nella relazione maestro-allievo? Nell’insegnamento essere donna è un valore aggiunto?
Sono alcune delle questione al centro dell’ultimo incontro del ciclo ‘Donne per i nostri giorni’, organizzato lo scorso lunedì 20 dicembre da Fondazione Monza insieme e Caritas Monza.
L’insegnamento come l’azione caritativa più vera: così don Augusto Panzeri ha introdotto la serata, sottolineando il valore altissimo dell’istruzione, sebbene spesso sia considerata un po’ una ‘cenerentola’, a volte anche dalle istituzioni.
Le protagoniste dell’incontro, moderate da Fabrizio Annaro, sono tre donne insegnanti che rappresentano l’intero ciclo di istruzione: Chiara Vassena, docente di Matematica e Fisica alla scuola secondaria di secondo grado, Luigia Cuttin, docente di Lettere alla scuola secondaria primo grado, Caterina Cagnan, insegnante di Religione alla scuola primaria.
Ne emerge l’immagine di un mondo in continuo cambiamento: cambiano i bambini e i ragazzi, le loro emozioni e le loro esigenze. Ma soprattutto sono le stesse insegnanti a raccontare di aver cambiato nel tempo la propria visione di scuola, il proprio approccio, il proprio modo di insegnare. In un mestiere in cui è facilissimo sbagliare, la sfida sembra essere la capacità di rimettersi in gioco ogni giorno.
Il senso dell’insegnamento
“Credo che l’arte del fare la maestra sia quella di riuscire a vedere un potenziale in ogni singolo bambino”, sottolinea Caterina Cagnan. “Ogni bambino ha diritto a scoprire il suo potenziale, partire da esso e intraprendere il proprio percorso personale. Sono convinta che occorre valorizzare la diversità di ogni bambino e stimolare la sua curiosità di imparare: bisogna arrivare alla didattica, non partire da essa e imporla a tutti i costi”.
“Alle scuole medie spesso i ragazzi sono agitatissimi: faticano a mettersi tranquilli, ragionare, parlare, confrontarsi”, dice Luigia Cuttin. “L’arte di insegnare per me consiste nel portare a loro la calma del confrontarsi e del ragionamento. Il nostro compito è prepararli ad essere cittadini del mondo, incontrare le diverse persone di una comunità, essere capaci di accogliere ed essere accolti. Credo che questo sia il primo compito dei docenti delle medie: formare una persona capace di crescere, imparare, collaborare nel mondo che lo aspetta e a cui si sta preparando. Il focus non è più cosa dobbiamo insegnare ma come dobbiamo insegnarlo: le materie non sono l’obiettivo ma lo strumento per insegnare ai ragazzi a crescere”.
“Nella vita possono succederti le cose peggiori, ma quando chiudi la porta della classe il mondo fuori non c’è più: ci sei tu, i tuoi studenti, e le tue materie, riesci a dimenticarti di tutto”, racconta Chiara Vassena. “E io mi diverto moltissimo a spiegare Matematica e Fisica. Credo sia questo il punto centrale del mio insegnamento: la passione che cerco di trasmettere. Ma ritengo essenziale anche insegnare ai ragazzi la necessità di fare fatica per imparare: un po’ di fatica va fatta ma senza peso, mantenendo sempre la leggerezza e l’ironia”.
Un lavoro di relazione
Una delle sfide più difficili, nell’insegnamento è la gestione della relazione e del coinvolgimento emotivo rispetto agli studenti. Tutte e tre le docenti concordano sull’importanza di mantenere equilibrio e professionalità, ma anche sull’impossibilità, a volte, di farlo.
“Alcuni studenti cercano in noi il loro adulto di riferimento”, spiega Chiara Vassena. “Per loro siamo qualcosa di più di persone che trasmettono nozioni, ma non è facile gestire questo doppio ruolo”. “I ragazzi delle medie sono una tempesta”, le fa eco Luigia Cuttin. “Si stanno trasformando da bambini in adolescenti, faticano sempre di più a gestire le emozioni e l’ansia. E a noi insegnanti vengono richieste competenze sempre maggiori nel campo della relazione: i ragazzi devono sentire di essere importanti, che a noi loro importano”. E il coinvolgimento emotivo è inevitabile anche nella scuola primaria, dove i bambini passano 8 ore della propria giornata: “Spesso cercano l’affetto della maestra”, sottolinea Caterina Cagnan. “Spesso hanno difficoltà a riconoscere le proprie emozioni, ne hanno paura. E noi maestre dobbiamo essere un punto di riferimento emotivo, mostrare che è giusto provare tutte le emozioni, che tutte si possono gestire e incanalare”.
Insegnanti e donne: un valore aggiunto?
Alla domanda se essere donna fa la differenza nel mondo della scuola, rispondono tutte negativamente, valorizzando al contrario l’importanza della presenza maschile nel corpo docente, a compensazione di un ‘maternage’ forse eccessivo nella scuola. Il valore aggiunto non sta nell’essere donna, ma nella persona, nella diversità di ciascun docente, del proprio approccio, del proprio metodo. E’ il confronto con la diversità delle relazioni che si creano a far crescere bambini e ragazzi preparandoli al mondo complesso che sta ‘oltre’ la scuola.
Tra gli ostacoli più difficili da affrontare nel mestiere di insegnante le relatrici concordano sulla burocrazia insostenibile (per tutte al primo posto!) e sul carico emotivo a volte difficile da sostenere, non solo nelle relazioni con gli alunni ma anche con i genitori.
Le sfide della scuola oggi
Ci sono poi le grandi sfide del tempo attuale: la pandemia, la tecnologia, la diversità dei ruoli di genere e delle culture.
Se, malgrado la situazione attuale, lo sguardo resta ottimista – “dopo il lockdown gli studenti si mostrano contenti di venire a scuola”- non mancano le criticità legate alla particolarissima situazione innescata dalla pandemia Covid 19. I problemi psicologici nei ragazzi, la paura rimasta nei bambini sono conseguenze dell’aver vissuto questa situazione proprio nel periodo della formazione delle relazioni.
Altra questione attualissima è la tecnologia a scuola. “Viviamo in un mondo complesso, anche per via dei progressi tecnologici”, riflette Caterina Cagnan. “Il problema è che noi vogliamo semplificarlo, e allora ci raccontiamo che la tecnologia semplifica la vita. Cerchiamo di semplificare noi stessi, ma non possiamo privarci della complessità. Spesso non siamo in grado di usare gli strumenti che avremmo a disposizione: in realtà dovremmo partire da noi stessi e considerare la tecnologia come un mezzo, mai come un fine”. Controverso rimane l’uso dello smartphone a scuola: strumento di lavoro o di distrazione? In fondo, si tira un sospiro di sollievo nell’udire che a volte capita ancora che studenti nativi digitali rimangano folgorati dai libri di carta.
Per quanto riguarda la delicatissima questione, posta sul tavolo da don Augusto, dell’educare al maschile o al femminile, ma anche dell’incontro tra culture diverse sui banchi scolastici, “le parole d’ordine sono ‘rispetto’ e ‘delicatezza’ nell’affrontare questi temi”, risponde Caterina Cagnan. “Abbiamo il compito di distruggere gli stereotipi ma anche di rispettare ogni persona e ogni cultura”. E poi ‘apertura’: “Il docente per primo deve mostrarsi disposto ad ascoltare e comprendere il punto di vista di tutti, in modo tranquillo, ragionevole, rispettoso degli altri”, rimarca Luigia Cuttin. “Occorre mostrarsi aperti alla ricerca, ovviamente sempre rispettando la libertà degli altri”.
Un’idea di scuola ‘per i nostri giorni’
Insomma, una visione dell’insegnamento e della ‘cura’ dell’educazione che si lascia alle spalle l’idea della scuola rigida e chiusa nelle proprie nozioni. Per aprirsi invece al mondo, alla relazione con i cittadini di domani. Una scuola che rinuncia a imporre dogmi e nozioni da imprimersi in testa, ma che vuole lasciare il segno in un altro modo, assai più difficile. Insegnando, cioè, ad ascoltare gli altri e a rispettarli, a riflettere, a pensare. Valorizzando le relazioni, anche attraverso quell’empatia che appare come uno dei più grandi contributi che le donne sono in grado di portare nel mondo dell’educazione. E con la convinzione che “a insegnare si impara”, anche sbagliando qualche volta.
Questa l’idea di scuola, forse un po’ utopica, che emerge dalla conversazione tra le protagoniste.
Non mancano interventi e domande dal pubblico, che permettono di ampliare il discorso alla relazione tra scuola e territorio, alla didattica laboratoriale, alla politica.
“La parola chiave di stasera mi pare possa essere la ‘presenza’ “, conclude don Augusto. “È bello che nella scuola ci sia una presenza forte degli insegnanti e degli educatori, sentita come punto di riferimento dai ragazzi”. E conclude richiamando la figura di un’altra donna educatrice, Rosa Prandoni, fondatrice di Monza Insieme, “che ha lasciato davvero dei ‘segni’ importanti” e alla quale la serata viene dedicata.