L’aurora nel giardino scuro: il sentiero di Cesare

di Francesco Troiano

Per la prima volta proponiamo un romanzo breve che, per quanto breve, deve necessariamente essere suddiviso in puntate. Ecco la  prima a cui seguiranno le altre quattro sempre il lunedì mattina. Si tratta di un racconto-fiaba intenso ed emozionante che siamo certi piacerà ai nostri lettori.

 

PUNTATA 1 – IL SENTIERO DI CESARE                                                

24 aprile ore 7

Sui tornanti piemontesi, Gregorio prese una stradicciola stretta costeggiando un bosco di faggi tagliati da una luce cobalto.

C’era uno sterrato a destra. Rallentò per parcheggiare.

Sedersi su un piccolo masso. Ascoltare il vento, gli occhi bassi su un trifoglio e una vertigine leggera.

Suo padre Antonio, un mese e mezzo prima, si era incamminato verso la nebbia del suo pensiero. Gregorio, in un momento di calma del lavoro, se l’era portato nella sua casa di Gabiano nel Monferrato.

La sera prima di andarsene, Antonio, si era infilato a letto con la giacca da camera che indossava nel giorno. Sotto, il pigiama azzurro che i figli gli avevano regalato a Natale. Sotto ancora, i mutandoni avorio a gamba lunga con la patta aperta senza bottoni.

Al primo raggio di luce, decise di togliersi da quelle coperte soffocanti, scelse il completo grigio che usava quando, chiuso il negozio di barbiere, era andato a fare il custode nei musei; infilò le scarpe decennali nero-lucide, prese il suo borsalino con piumetta azzurra e indossò l’impermeabile beige alla tenente Colombo.

Con il bavero alzato, si era poi diretto in cucina a divorarsi un’arancia grande come la luna ancora visibile quel mattino.

Infine, accesa la luce del corridoio, aveva girato la chiave e spalancato la porta principale.

Nell’aurora di quel giardino scuro, si voltò a guardare l’ingresso della casa con l’alogena sfolgorante sul patio. La immaginò una lampara abruzzese sul mare della sua infanzia. Alzò il braccio per salutarla e, definitivamente, da quel luogo come dalla sua vita, l’uomo-fanciullo uscì.

Gregorio aveva parcheggiato la sua Ford Focus in un anfratto della stradina che portava, dopo un chilometro, all’ingresso del vecchio tracciato della Francigena.

Prese il sacco a pelo che teneva fisso nel bagagliaio, una piccola coperta e dell’occorrente da sopravvivenza. Chiuse la macchina, controllò di non aver dimenticato documenti e telefono, ma il telefono era scarico e non aveva con sé ombra di caricatore. Rimise il telefono nel bauletto del cruscotto, il resto lo mise  nello lo zaino, chiuse la macchina e iniziò a incamminarsi. Rallentò per girarsi a guardare la Ford, e, dandosi dello scemo, si chiedeva cosa sarebbe successo della sua macchina abbandonata e di lui verso l’ignoto senza il cellulare in tasca.

Della scomparsa di suo padre, Gregorio, era riuscito a racimolare poche e scarne informazioni. La polizia era stata allertata il giorno stesso della sparizione. Questo non attutì le responsabilità penali previste per i familiari di una persona affetta da disturbi legati alla demenza. La cosa era stata segnalata anche al programma “Chi l’ha

Visto”, ma fino ad allora, niente di niente.

Una di quelle scarne notizie, riguardava la negoziante di souvenir religiosi abitante nei pressi del Santuario della Madonna di Crea, che aveva ospitato a casa sua. La proprietaria del bar del santuario si chiamava Teresa. Ottant’anni, sopravvissuta all’unico figlio cinquantenne, morto due anni prima, per un tumore osseo.

“Non è giusto, non è naturale” intercalava.

Riprese poi a parlare di  Antonio:

“Ai primi di marzo, era entrato per chiedere se poteva giocare ai cavalli. Gli avevo spiegato che questo è un bar e non una sala giochi. Lui mi ripeteva che aveva un cavallo da giocare piazzato, e che era sicuro di vincere. Non avevo pensato a una persona uscita da casa sua con dei problemi. Certo, sempre quei vestiti addosso, faticava a parlare, ma era simpatico. Mi ci ero affezionata. Sapeva fare il caffè. Gli proposi di aiutarmi nel bar. Ce la faceva e non ce la faceva. Quando arrivavano i gruppi, lo lasciavo riposare. Si sedeva sempre in quel tavolo là in fondo, vicino al flipper. Dormiva in una cameretta qui affianco con brandina e  lavandino.

Dopo una settimana, una mattina abbiamo trovato la brandina rifatta e tutto in ordine. Lui, non c’era più. Non ho idea dove possa essersi diretto. Soltanto dopo qualche settimana, guardando di sfuggita “Chi l’ha visto”, mi sono resa conto di chi fosse. Ho visto lei in trasmissione che descriveva suo padre. Insomma, mi è venuto da piangere. Ho poi chiamato il programma per raccontare tutta la storia. Sono anche venuti i carabinieri. Mi hanno solo detto grazie e non ho saputo nient’altro. Mi dispiace”.

Gregorio, uscì dal bar imboccando il sentiero delle Cappelle che riproducono i Misteri del Rosario.

Camminava lentamente per risparmiare fiato. Si fermò di fronte alla Salita di Gesù al Calvario, e dal pendio prospiciente si staccò un’upupa che andò a posarsi sul ramo di una roverella.

Un cagnolino tutto peloso, corse avanti sul sentiero bloccandosi vicino a una radura .

“E tu che ci fai?”

“Si chiama Belbo. E’ stato il mio cane, e mi stava aspettando questo birichino.”

Gregorio si voltò verso il proprietario di quella voce melodiosa.

“E’ un pazzerello, ed è un incrocio. Proprio come il suo padrone. Mi permetta di presentarmi: mi chiamo Cesare”

“Piacere. Gregorio.”

Era un uomo sulla cinquantina, magro con degli occhiali a lenti circolari, un completo anni quaranta, i pantaloni larghi con le pince.

“Mi scuso per la domanda indiscreta.…ma cosa intende con la frase mi ha aspettato..? ”

“Veniamo dal Regno dell’Invisibile. Mi sono congedato da questo mondo terreno

esattamente il 27 agosto del 1950. Decisi di farla finita con dei barbiturici. Belbo mi aveva lasciato già da molto prima, e non avrei mai pensato di ritrovarlo. E bon, sono contento”…                                      

….“Scusi, e come mai… la sto vedendo e ci stiamo parlando?”

“Non so darle una spiegazione plausibile. Quello che mi viene da dire è che si tratti di un dono del Creatore…”

“E …passeggia da queste parti…”

“E’ un posto che ho sempre amato. Non era il mio posto del cuore perché io sono delle Langhe, a un po’ di chilometri da qui. Però, durante le mie peregrinazioni, mi è capitato di essere ospite da mia sorella che aveva una casa da queste parti. E ci ho abitato due anni.”

“Di cosa si occupava?”

“Insegnavo lettere in una scuola di Casale. Nel tempo libero, scrivevo. Dopo la mia dipartita, la mia anima, a differenza di quello che mi sarei potuto aspettare e che avevo immaginato nelle mie elucubrazioni in vita, non fece fatica ad assimilare l’accettazione del passaggio. Presi una decisione che non avrei dovuto prendere. La vita non è di nostra proprietà. Nel frattempo, mi è stato concesso di tornare sui luoghi della mia vita precedente, scegliendomeli pure. Non ho avuto dubbi sulla Madonna di Crea. E di lei cosa mi dice?”

“Sono in cerca di mio padre, sparito un po’ di tempo fa. Ha soggiornato da Teresa, la proprietaria del bar del Santuario. E poi, nella seconda settimana di marzo, è ripartito, non sappiamo per dove”

“L’Antonio… Me ne parlava un grande attore che andava sempre a fare la barba nel suo negozio. Il suo papà non lo faceva mai pagare. Un giorno per sdebitarsi gli aveva regalato il suo Rolex…Le consiglio di seguire la pista dell’orologio. Vedrà che le sarà d’aiuto”

“In che senso?”

“Il senso, amico mio, lo troverà durante la sua ricerca”

E così dicendo Cesare prese un sentiero laterale con Belbo che lo seguiva a saltelli come un cavallino.

“Signor Cesare, per favore….mi dica qualcos’altro….la prego…e poi chi era quell’attore?”

“Si ricordi l’orologio…addio Gregorio…buon cammino!”

L’uomo sparì dal viottolo ingoiato dalla vallata sottostante. Gregorio si sporse per indovinarne ancora la sagoma, ma niente. Solo canti di gazze e cornacchie grigie, fruscio di fogliame per un vento da nord.

Una panchina in legno grezzo era  lì, nei pressi di fronte al panorama. 

Erano le otto di sera. Una serie di sbadigli lo avvolsero come una coperta. In quella specie di dormiveglia, sdraiato sulle assi, si riavvolsero le immagini di un puzzle: Teresa… il Santuario…Cesare…l’orologio al polso di Antonio…

Sig. Gregorio! Gregorio!

Riemerse dal sonnellino sussultando davanti alla faccina di Teresa che gli scrollava le spalle per svegliarlo.

“Signor Gregorio…ma cosa fa? E’ matto? Siamo nel mese di aprile e sono le nove di sera. Va bene che siamo in primavera, ci sono le belle giornate ma cosa crede di fare

…dormire fuori di notte?”

“Si, ha ragione”

“Ma non ha un posto, una casa dove andare a dormire?”

“Sì, ma non si preoccupi,  ho il sacco a pelo.

“Ma sta scherzando? Si congelerà nel giro di un’ora. Per questa notte, se si accontenta c’è la stanza dove ha dormito suo padre. Non le faccio pagare nulla.

Venga”

La stanza affianco al bar era un bugigattolo con una finestrella sopra il lavandino. Gregorio aprì il rubinetto per darsi una sciacquata.

Un piccolo specchio mezzo rovinato rifletteva una faccia non sua. Era quella di Antonio. Le sue rughe, il basalioma sopra l’occhio e il suo lavarsi le mani senza smettere. 

Lo vedeva con il suo completo, tirare fuori un’arancia dalla tasca e distendersi sulla brandina, morsicando ad occhi chiusi.

Sulla parete della brandina, appeso a una puntina incerta, c’era il calendario di Frate Indovino.

La pagina di aprile riportava i consigli per la stagione primaverile, qualche ricetta e le cose da fare per l’orto. In basso a destra la foto di un signore magro, sguardo interessante, occhiali a lenti circolari e un trafiletto turistico: “Prenotate la visita ai luoghi di Cesare Pavese”.

La notte calò leggera e Gregorio, in posizione supina, respirava sognando.

 

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