di Daniela Zanuso
Sembrerebbe proprio una storia di altri tempi quella delle sorelle Materassi: due zitelle che quarant’anni di indefesso lavoro hanno reso benestanti e uno spregiudicato nipote, perdigiorno, vanesio e opportunista che le porterà sul lastrico e finirà con l’abbandonarle, non prima di averle mandate in completa rovina.
Nonostante gli anni però, il romanzo di Aldo Palazzeschi, da cui in passato sono stati tratti sceneggiati e film, conserva una straordinaria attualità. Parla di vita e di sentimenti universali: i legami e i conflitti famigliari, le frustrazioni, i rancori, le gelosie, le rivalità, il desiderio di riscatto, la solitudine nella vecchiaia.
L’attuale adattamento teatrale di Ugo Chiti, con regia di Geppy Gleijeses, mette sul palco uno straordinario cast di attrici: semplicemente fantastiche Lucia Poli nel ruolo di una Teresa risoluta e volitiva e Milena Vukotic in quello di una Carolina fragile e ingenua. Bravissima Marilù Prati che interpreta la sorella minore Giselda e altrettanto brava Sandra Garuglieri nei panni della serva fedele. In poche parole attrici che fanno la differenza e ti fanno dimenticare un paio di scivoloni della regia.
Ambientata nella campagna fiorentina nei primi del Novecento, la storia è un’affascinante parodia di quello stile di vita borghese e provinciale che è stato uno dei temi cari ad Aldo Palazzeschi. La vicenda ruota intorno alle sorelle Teresa e Carolina Materassi, due abili sarte che ricamano corredi da sposa per la nobile clientela fiorentina. Il lavoro è per loro motivo di prestigio e riscatto sociale, dopo l’abisso della crisi economica causata da un padre scialacquone. Al lavoro hanno sacrificato soddisfazioni e amori.
La tranquilla quotidianità, fatta di sacrifici e piccoli gesti sempre uguali, di ricordi e di sogni inconfessabili, viene sconvolta dall’arrivo del nipote Remo, un’affascinante seduttore, che porterà un raggio di sole nella vita e nei cuori di zi’ Te e zi’ Ca. La terza sorella, reduce da un fallimento matrimoniale e ripresa di malanimo in casa dalle altre due, sarà l’unica a trattarlo con distacco e scarsa simpatia, ad intuire le vere intenzioni del giovane nipote e la prospettiva di una nuova rovinosa situazione finanziaria. Ma i suoi ammonimenti non serviranno a nulla: le altre due sorelle si lasceranno rovinare.
Ad eccezione del prologo, in cui con un efficace gioco di ombre cinesi viene rappresentato il sogno di un’udienza papale, la scenografia è piuttosto scarna: un freddo salone e da sfondo un grande arco che fa da finestra e guarda su un imponente ciliegio, quasi a simboleggiare il benessere ma anche l’essenzialità della loro vita.
Commozione e amara ironia di mescolano con abilità a situazioni grottesche e a qualche momento drammatico. Ne esce uno spettacolo ben confezionato, molto ben interpretato, sospeso tra comicità e tragedia dove traspare tutta la complessità dell’animo umano.