La guerra in Siria e il peggioramento della situazione dei campi profughi in Turchia, Libia e Giordania hanno causato un incremento del numero di persone che percorrono la rotta dei Balcani per raggiungere l’Europa.
Di seguito la testimonianza di Matteo Castellani, uno dei case manager di RTI Bonvena, che – tra la fine di settembre e l’inizio di ottobre – ha vissuto un’esperienza lungo alcuni pezzi della tratta balcanica durante il suo viaggio in auto dall’Italia alla Turchia.
I migranti attraversano Grecia, Macedonia, Serbia, Croazia, Ungheria e infine arrivano in Austria. Ci vogliono circa 15 giorni per percorrere a piedi il corridoio umanitario. Non si può attraversare nessun confine senza prima essere stati registrati e a ogni frontiera le persone aspettano anche 3 o 4 ore. La registrazione consiste in una foto e nel dichiarare il proprio nome e cognome; per la logica del Regolamento di Dublino non vengono prese le impronte digitali. È una procedura obbligatoria che deve essere eseguita ogni volta prima di entrare in un nuovo Paese, fino alla frontiera tra Ungheria e Austria. In Ungheria la tolleranza verso i migranti è pari a zero e per il reato di clandestinità si rischiano fino a 3 anni di carcere. In ogni Paese i migranti hanno 72 ore di permanenza, ma generalmente non rimangono più di 48 ore per poter proseguire il loro viaggio.
Ai confini ci sono pochi operatori e molta Polizia. La Polizia gestisce tutte le frontiere ed è affiancata solo da qualche Ong. Non ci sono funzionari governativi.
Le modalità di gestione dei campi profughi variano a seconda dei Governi. La Croazia e la Serbia sono aree molte depresse, che ancora si portano dietro le conseguenze della guerra. Ci sono poche infrastrutture e le condizioni dei campi non sono adeguate. Il campo di Opatovac, ad esempio, è in realtà un ammasso di tende, dove non ci sono brandine, manca la manutenzione e le condizioni igieniche sono molto scarse. Intorno al campo ci sono centri di raccolta di vestiti e cucine da campo allestite da gruppi semi spontanei. La gestione del campo è in mano alla Croce Rossa Internazionale, supportata dall’UNHCR.
Non tutti i migranti seguono il corridoio umanitario, alcuni per mancanza di informazione. Le persone sono spaventate dal non sapere. Vengono soprattutto da Siria, Afghanistan, Iraq; alcuni sono africani, altri palestinesi e curdi. Tra loro ci sono moltissime famiglie. Sono consapevoli della situazione e della guerra in corso, soprattutto i siriani. Molti di loro, cinque anni fa, mai avrebbero pensato che sarebbero stati costretti a scappare. Hanno resistito fino all’ultimo. Sono scoraggiati, svuotati per non avere più alcuna prospettiva. Hanno accettato la “normalità” della guerra. I più giovani sognano di poter continuare a studiare, le famiglie di potersi costruire una nuova vita in Europa. In chiunque progetti un piano migratorio c’è un ottimismo di fondo.
Foto di Matteo Castellani