di Francesca Radaelli
Una storia di non violenza, riuscita come un esperimento scientifico. Una nave di “folli” in grado di mettere in discussione la follia della guerra. Cinquecento persone capaci, con un gesto, di incarnare un messaggio che, 30 anni dopo quella storia, merita di essere rilanciato.
Di questo si è parlato lo scorso lunedì 29 maggio, nel quarto e ultimo appuntamento del ciclo di incontri “Beati gli operatori di pace”, organizzato da Caritas Monza presso l’oratorio di San Biagio.
La storia è quella di don Tonino Bello, che nel dicembre 1992, nel pieno della guerra in ex Iugoslavia e con Sarajevo sotto assedio, insieme a don Albino Bizzotto, organizza la spedizione di un esercito di disarmati, con l’obiettivo di far entrare nella città assediata 500 persone completamente inermi.
A raccontare questa storia – intervistati dal giornalista Fabrizio Annaro – sono stati Lucia Bellaspiga, giornalista di Avvenire, da sempre impegnata, come ha detto lei stessa, a raccontare lo “spiraglio di luce che c’è dentro ogni storia, anche la più drammatica”, e don Renato Sacco che di quell’esercito di “folli” ha fatto parte.
La serata si è aperta con una riflessione di don Augusto Panzeri di Caritas Monza sulla violenza e sull’educazione dei più giovani, ricordando la figura di don Lorenzo Milani, e anticipando uno dei temi che sarebbero poi emersi nel corso dell’incontro, quello dell’educazione alla pace.
Trent’anni fa: la nave dei folli
La bella storia della nave dei folli è stata raccontata da Lucia Bellaspiga che ha deciso di riprenderla e ri-raccontarla sulle pagine di Avvenire, lo scorso dicembre, nell’anniversario di quella “spedizione”.
“Ne sono venuta a conoscenza visitando il Museo dei sogni, della memoria, della coscienza e dei presepi che don Aldo Bertelle ha creato a Facen Pedavena, in provincia di Belluno, insieme alla comunità che gestisce”, ha raccontato la giornalista al pubblico monzese. “Don Aldo lo scorso dicembre ha fatto arrivare del sale da tutto il mondo, per impastare delle pagnotte e inviarle nei luoghi in cui sono avvenuti i grandi fatti della storia umana. Una di queste, con stampata la croce di don Tonino Bello, è stato realizzato per essere portato proprio a Sarajevo”. Con l’obiettivo di ricordare l’impresa della “nave dei folli”, nata da un appello che don Tonino, insieme a don Albino Bizzotto, decise di lanciare a tutti i cristiani. Andare in 100mila a Sarajevo, città assediata, con un’arma incredibile: quella di essere senza armi.
Un esperimento riuscito
All’appello – racconta Lucia Bellaspiga – risposero in 500, più precisamente 496. Sono loro l’esercito dei “folli” che si imbarcarono ad Ancona, sulla nave Liburnjia, e dovettero subito affrontare una tempesta talmente forte da essere dati per dispersi. Don Tonino parlerà della “violenza dell’acqua” che nel loro viaggio anticipò la “violenza del fuoco” della guerra.
Giunti a Sarajevo, fu necessario aspettare il permesso dei miliziani per entrare. Fermi sulla collina che domina la città, 500 persone su 10 pullman, iniziarono ad attirare l’interesse delle persone. La gente di Sarajevo, vedendoli, ha l’impressione che per la prima volta qualcuno nel mondo si interessi a loro. Così autisti croati vengono invitati a cena da donne bosniache e nella condivisione quotidiana le differenze sembrano appianarsi. “Questa è la pace”, dirà don Tonino. “La convivialità delle differenze”. Quindi i 10 pullman di questo esercito senza armi ottengono il permesso di entrare, in una città resa spettrale dal coprifuoco, e di percorrere il “vialone della morte”, perennemente sotto il tiro dei cecchini, mentre con l’arrivo della sera anche i blindati dell’Onu lasciano la città: “Questa è un’Onu rovesciata, dal basso”, dice don Tonino. “Questa è la pace che va osata”.
Nessuno spara durante i giorni in cui questo esercito senza armi percorre Sarajevo. L’esercito dei disarmati ha fatto tacere la guerra.
“Quell’utopia è un esperimento scientificamente riuscito”, spiega Lucia Bellaspiga, riprendendo le parole di don Tonino. “La non violenza attiva è diventata un trattato scientifico”.
Un’utopia possibile… anche oggi?
Don Renato Sacco, uno di quei 500, spiega che per lui non è tanto importante dire: “Io c’ero”. Ma piuttosto: “C’è stato, è accaduto, e allora è possibile”. Riprende anche lui parole dette da don Tonino pensando alle comunità dei cristiani: “Occorre promuovere un’utopia così, altrimenti le nostre comunità diventano solo dei notabili dello status quo”. E sul tema della follia ricorda le parole scritte da Giovanni XXIII nella “Pacem in terris”: “Diceva che ritenere che i problemi si risolvano con la guerra ‘alienum esta ratione’. Noi invece chiamiamo “folle” chi è contro la guerra”.
Vedendo le immagini di guerra scorrere in TV don Tonino si chiede se possiamo davvero essere solo spettatori. Per diventare costruttori di pace lancia l’appello all’esercito dei folli.
E pensando ad immagini analoghe e alla guerra oggi in corso in Ucraina don Renato si chiede cosa abbiamo fatto dopo quell’esperienza. “Non abbiamo dato gambe alla ricerca sulla non violenza. Oggi abbiamo le scuole militari, che sono scuole della guerra. Ma chi ci insegna a fare la pace?”. Racconta di aver partecipato alla spedizione di Operazione Colomba a Odessa lo scorso aprile: “Quello che abbiamo tentato di fare 30 anni fa sarebbe da ripensare oggi”.
Perchè risolvere i problemi con la guerra?
“Possibile che, nonostante i progressi vissuti nel corso della sua storia, l’umanità non sia riuscita a trovare un modo diverso dalla guerra per risolvere i problemi?”, chiede Fabrizio Annaro ai suoi ospiti.
Una delle proposte di Lucia Bellaspiga è quella di partire dalle parole: “Perchè non creare un ministero della Pace invece che della Difesa?”. E poi perchè non seguire le “scuole di pace” che seppure poco conosciute esistono, come quella della comunità papa Giovanni XXIII di don Benzi, oppure la stessa Operazione Colomba di Alberto Capannini? “Come diceva don Tonino occorre che le nazioni promuovano queste strategie di pace. L’istinto dell’homo sapiens si basa sulla sopraffazione, ma bisogna dare spazio alla superiorità della coscienza”.
Don Renato fa riferimento ai tanti interessi che impediscono che la pace prenda piede, a cominciare da quelli economici di cui ha parlato lo stesso papa Francesco in più occasioni. Ma si dice convinto, come don Tonino Bello, che esista un “popolo di costruttori di pace”, dalle suore di clausura che pregano ai giornalisti che mandano messaggi positivi, che può partecipare alla sua costruzione.
Il popolo dei costruttori di pace
Di questo popolo fa parte anche il pubblico della serata, così come quello di coloro che hanno partecipato agli altri tre incontri del ciclo organizzato da Caritas. Persone sinceramente preoccupate di come si possa davvero nei fatti, nel grande e nel piccolo, provare a costruire qualcosa che a volte sembra impossibile da raggiungere. Di fronte a questo pubblico e a questo popolo, storie come quella della “nave dei folli” e dell’esperimento scientifico non violento realizzato 30 anni fa a Sarajevo aprono spiragli di speranza.
Di fronte alla pratica della guerra come strumento per risolvere i problemi – dall’Ucraina allo Yemen, dall’Africa a tutto il mondo – l’auspicio è che l’esercito dei disarmati possa diventare sempre più grande. E, dal basso, avanzare sempre di più.