A 100 anni dalla nascita di don Lorenzo Milani, cosa scriverebbero gli studenti di oggi ai loro insegnanti? A questa e ad altre domande hanno provato a rispondere gli ospiti del terzo appuntamento del ciclo “Donne per i nostri giorni” organizzato da Caritas Monza e Fondazione Monza Insieme lo scorso lunedì 27 novembre. Una serata dedicata alla rilettura della “Lettera a una professoressa” di don Milani e dei ragazzi di Barbiana che ha visto protagonisti due studenti, una dirigente scolastica e una professoressa, impegnati in un dialogo stimolante su un testo scritto negli anni Sessanta ma ancora capace di interrogare il presente.
“Don Milani ha capito che la Parola di Dio va riconsegnata alle persone”, ha sottolineato don Augusto Panzeri introducendo l’incontro. “Nella sua vita pastorale, ha dato la parola ai poveri, convinto che così si potesse vincere la povertà, che queste persone si potessero liberare attraverso l’istruzione e la cultura. Non solo. Ha voluto dare la parola ai poveri facendosi lui stesso povero: questa è la sua caratteristica più rivoluzionaria”.
1967: la lettera dei ragazzi di don Milani
Il giornalista Fabrizio Annaro, moderatore dell’incontro, ha sottolineato alcuni aspetti della lettera, scritta tra il settembre 1966 e il maggio 1967 dallo stesso don Lorenzo Milani insieme ai ragazzi della scuola di Barbiana, dopo che due di loro furono bocciati per la seconda volta all’esame da privatisti: uno su tutti, la critica pungente e piena di rabbia verso una scuola classista, che privilegia chi già sa e “butta fuori” i figli dei contadini. “Un’istituzione fine a sé stessa”, come si legge nella lettera. Ma, accanto alla critica, emerge anche una proposta chiara di riforma di questa istituzione, che si fondi sull’abolizione della bocciatura, sul doposcuola per i più fragili, su un’attenzione maggiore per i più svogliati.
2023: gli stimoli recepiti dal mondo scolastico
A distanza di diversi decenni, ciò che forse colpisce maggiormente è notare come alcune delle intuizioni di don Milani siano state recepite dalle riforme che negli anni hanno provato a trasformare il sistema scolastico. Per esempio, come ha sottolineato Chiara Vassena, docente di matematica e fisica del Liceo Frisi di Monza, l’educazione civica, definita da don Milani come “la materia che non fate”, negli ultime anni è stata inserita a tutti gli effetti tra le discipline scolastiche, con un proprio curriculum stabilito a livello ministeriale.
“Anche l’approccio alla cultura è cambiato”, ha sottolineato la professoressa, “Don Milani criticava le modalità di insegnamento del latino e della matematica. Oggi si lavora tanto proprio per proporre il sapere in un modo diverso, per stimolare negli studenti senso critico e capacità di ragionare”.
Sul concetto di “scuola delle competenze” si è soffermata in un videomessaggio trasmesso durante la serata anche Valentina Soncini, dirigente scolastica dell’IIS Ferrari di Monza: “Ci sono state diverse riforme che hanno puntato sulla personalizzazione dei curricoli, su quella attenzione al singolo e ai bisogni dei più fragili che i ragazzi di don Milani chiedevano alla scuola degli anni Sessanta”, ha sottolineato. “Oggi è attualità l’idea che le conoscenze non siano il fine ultimo, che la scuola debba sviluppare le competenze dei ragazzi, che si debba imparare per farsene qualcosa, di ciò che si impara. La scuola che io dirigo è particolarmente toccata da questo: si tratta infatti di un istituto professionale frequentato da ragazzi per certi versi simili ai ragazzi di don Milani, a cui la scuola cerca di offrire strumenti spendibili nella loro vita futura”.
Un altro aspetto in qualche modo recepito dalla scuola di oggi è l’attenzione per i linguaggi: “Don Milan sosteneva l’importanza di imparare le lingue”, sottolinea Soncini, “oggi questa competenza si è allargata ad altri linguaggi, da quelli tecnico-scientifici ai nuovi linguaggi digitali”.
2023: cosa non è cambiato
Se la scuola è cambiata molto, almeno “sulla carta”, d’altra parte, rileggendo il testo della Lettera, non si può fare a meno di notare che alcune delle critiche rivolte dai ragazzi di don Milani alla scuola degli anni Sessanta potrebbero essere state scritte oggi.
A partire dal tempo scuola che, soprattutto nella scuola dell’obbligo, appare ancora troppo limitato, mentre per apprendere gli studenti, soprattutto i più fragili, dovrebbero passare più tempo a scuola.
Se riguardo all’utilità delle bocciature occorre fare una distinzione tra scuola dell’obbligo e scuola , e se è vero che, come spiega la professoressa Vassena, oggi si registra una maggiore attenzione al bene dello studente anche in caso di bocciatura e percorsi di riorientamento scolastico, permane però senza dubbio il problema dell’autoreferenzialità dello studio scolastico, la cosiddetta scuola “fine a sé stessa”. “Anche oggi è difficile staccarsi dal processo spiegazione-verifica”, ammette Chiara Vassena. “Anche noi insegnanti siamo ancora dentro questo meccanismo e gli studenti studiano più per il voto che per l’apprendimento in sé”.
“Ancora oggi percepiamo la scuola fine a se stessa, basata solo sui voti”, ha confermato Ines Riboldi, ex studentessa del liceo Frisi. “Personalmente ho capito di potermi distaccare dal voto solo quando mi sono resa conto che i miei professori erano persone come me, con cui era possibile avere uno scambio reciproco”. Come ha sottolineato Filippo Gallavotti, altro portavoce del punto di vista degli studenti, “ci viene richiesto di svolgere continuamente prove, di conseguenza subiamo soprattutto il peso di vederci assegnato un numero”.
Quale “Lettera” oggi?
Cosa scriverebbero questi due ragazzi ai loro insegnanti? La risposta di Ines e Filippo mostra la volontà di cercare il confronto piuttosto che la polemica, pur nella consapevolezza che ci sarebbe molto da cambiare. Negli anni si è affermata un’idea di scuola come comunità da costruire insieme, alunni e professori, almeno in questo diversa da quella, classista, oggetto delle aspre critiche di don Milani. “Oggi l’ideale, più che una lettera, sarebbe un dialogo”, sottolinea Ines. “Gli studenti sono ormai parte attiva, chiamati a prendere coscienza del proprio ruolo nella scuola”.
“Da ex studente del Frisi, un liceo, mi sento un privilegiato”, precisa Filippo. “Sono contento del mio percorso, ma credo che siano necessarie delle critiche sistemiche e politiche all’organizzazione della scuola. Oggi uno studente può avere la fortuna di incontrare professori illuminati, pronti alla relazione umana, ma può avere anche la sfortuna di incontrare pessimi insegnanti”.
Don Milani “mal interpretato”?
In una serata molto partecipata non sono mancati gli interventi del pubblico. In particolare qualcuno ha avanzato il sospetto che la scuola di oggi abbia interpretato le istanze di don Milani in modo sbagliato, non ponendosi l’obiettivo di dare strumenti ai più fragili ma quello di “abbassare l’asticella” con la scusa dell’inclusione, eliminando, almeno nella scuola dell’obbligo, l’esortazione all’eccellenza.
Ogni professore, del resto, come ha confermato Chiara Vassena, si trova davanti al “dilemma del convoglio”: adeguare il lavoro in classe alla velocità dei più lenti o dei più veloci? Un problema non di poco conto se si considera l’elevato numero di alunni per classe con cui molti docenti si trovano a dover fare i conti, altro problema non da poco del sistema scolastico attuale, che rende difficile “mettere al centro” lo studente.
La sfida non è semplice, su diversi fronti. In un altro suo testo, citato durante la serata, lo stesso Don Milani afferma che “la scuola siede tra passato e futuro” e all’insegnante è dato il compito di condurre “su un filo di rasoio” l’umanità del futuro e indovinare negli occhi dei ragazzi proprio quel futuro che solo loro vedranno.
Ecco il video con la registrazione integrale dell’incontro