di Enzo Biffi
Il 1983 è entrato senza invito nella mia casa di allora. Era quello il tempo in cui mio padre ancora stava bene e saliva in piedi sul divano ogni sera per caricare a molla il pendolo che già era stato di suo padre. La televisione da noi era ancora in bianco e nero e Pertini stava al Quirinale come fosse mio nonno.
In Sicilia migliaia di italiani si mobilitarono per impedire i lavori della costruzione della base missilistica nucleare di Comiso. Impedirli nel senso più stretto della parola: non con dibattiti e manifestazioni, ma coi loro corpi, riuniti e stesi di fronte ai cancelli dove sarebbero entrati i camion di chi lavorava alla base. Pochi mesi prima nella sale di tutta Italia si proiettava un film biografico sul Mahatma Gandhi. Nei bar e fra la gente, si parlava di non violenza.
Avevo diciott’anni, qualche idea confusa fra fede e politica e uno zaino di ricordi familiari accumulati fin lì che stava per colmarsi. Sentivo che c’era un’altra valigia da riempire di futuro e così, sul finire dell’anno, scrissi la lettera che mi avrebbe cambiato la vita o almeno, che mi obbligherà a viverla in un altro modo.
Scrivevo allora, e lo faccio ancora di tanto in tanto, delle lettere d’amore. Ingenue, un po’ retoriche e qualche volta ridicole, le lettere d’amore sono necessarie e, quando sono sincere, possono cambiarci la vita sopravvivendo per dignità anche all’amore.
In quel dicembre di quarant’anni fa, contrariamente a quel che si potrebbe immaginare l’ultima lettera d’amore dell’anno non ebbe un linguaggio poetico o una calligrafia attenta. Al contrario venne scritta grazie a una vecchia macchina da scrivere e con un linguaggio da ufficio anagrafe: “Spettabile Ministero della Difesa-Ufficio Levadife” Iniziava così, la mia ufficiale richiesta da obiettore di coscienza: una missiva burocratica per spiegare un sentimento totalizzante.
Il germe di quella volontà arrivava da lontano, una breve supplenza alla scuola media grazie alla quale una prima confusa idea di nonviolenza e alternativa al servizio militare si era insinuata fra i miei pensieri adolescenti. Poco tempo dopo, esattamente come la dinamica di ogni innamoramento, il sentimento confuso e totalizzante seppe maturare, riuscendo ad affrancarsi in me come un punto di partenza. Come ogni amore, non mi ha mai risparmiato dubbi, non mi ha mai esentato da conoscere e imparare per confermare.
Così, mentre gli anni Ottanta srotolavano leggerezza, disimpegno e l’affermazione dell’ego, io insieme a uno spaurato gruppo di giovani, ci ritrovammo al centro di un piccolo ma importante universo parallelo a vivere la nostra avventura di obiettori di coscienza. I nostri “venti mesi” di rivendicazione pacifista e impegnata stavano lì come una piccola cromatura su un ponte di ruggine. Una rivoluzione costruttiva e solo in apparenza fuori tempo ma eternamente attuale perché ingenua, limpida e assoluta come ogni amore.