L’Europa? Siamo noi

di Francesca Radaelli

“Continente vecchio, o saggio?” È stato dedicato all’Europa, lo scorso lunedì 29 aprile, il quarto appuntamento del percorso formativo “Il coraggio di papa Francesco”, organizzato da Caritas Monza presso la Biblioteca del Carrobiolo. Ospite della serata, il giornalista Gianni Borsa, corrispondente da Bruxelles per l’agenzia dei Vescovi SIR e presidente di Azione Cattolica Ambrosiana, che, in vista delle prossime elezioni europee dell’8 e 9 giugno – sollecitato dal giornalista Fabrizio Annaro e dal pedagogista Mino Spreafico, nonché dagli interventi delle persone partecipanti all’incontro – ha discusso alcune delle questioni di maggior rilevanza che oggi vedono protagonista l’Unione europea.

Temi che, per lo più elusi dal dibattito elettorale e dai media, sono invece centrali per capire il senso delle scelte politiche e delle prospettive dell’Unione.

Da sinistra: Fabrizio Annaro, Gianni Borsa, Mino Spreafico

Il sogno di papa Francesco

La riflessione parte dalla lettera scritta da papa Francesco nell’ottobre 2020 al cardinale Piero Parolin. Come sottolinea Fabrizio Annaro introducendo l’incontro, il papa sogna “un’Europa amica della persona e delle persone. Una terra che favorisca il lavoro come mezzo privilegiato per la crescita personale. Sogno un’Europa che sia una famiglia e una comunità”. E ancora: “un’Europa sanamente laica, in cui Dio e Cesare siano distinti ma non contrapposti. Una terra aperta alla trascendenza”. Ricorda Annaro: “L’Europa è stata forse la prima invenzione umana che ha provato a regolare i conflitti senza ricorrere all’uso delle armi. Eppure oggi all’ordine del giorno c’è la difesa comune europea, e dunque il finanziamento dell’industria delle armi. Il sogno di papa Francesco resta dunque un sogno?”, è la domanda posta sul tavolo. “Oppure siamo disposti a lottare per realizzare questa visione?”.

L’individualismo in Europa e l’apprendistato al dialogo

Mino Spreafico, ricordando a sua volta il contesto in cui è nata l’Europa, all’indomani della seconda guerra mondiale sottolinea che proprio da questa frattura “è nata l’idea di Europa come comunità, in grado di mettere insieme cose diverse: l’Europa è anche il luogo in cui è nata l’orchestra sinfonica –  strumenti diversi che suonano insieme – ma si sono mescolate anche lingue diverse, pensieri che si sono storicamente sedimentati. Alla guerra è seguito quindi un periodo di pace, in cui però ci sono stati grandi fallimenti, a partire dalla delocalizzazione delle imprese occidentali nell’Est Europa: si è pensato di spostarsi a oriente solo dal punto di vista economico, non culturale e religioso, mentre in questo momento proprio i paesi dell’est sono i più nazionalisti. I Balcani”, continua Spreafico, “continuano ad essere una ferita per l’Europa. L’altra frattura è la chiusura verso il sud, il continente africano”.

Papa Francesco, nel 2016 definisce l’Europa una nonna sterile, che deve tornare a essere una madre capace di generare. “L’individualismo ha vinto”, rimarca Spreafico,  “e molte delle norme europee sono costruite su diritti e doveri solo individualistici”. Il pericolo dell’individualismo è però la chiusura. “Invece l’uomo è relazione, la società è dialogo. Per questo il papa sottolinea che serve un apprendistato al dialogo”. In chiusura Spreafico si sofferma su  “tre fatti gravi” che avvengono oggi in Europa. “Il patto sui migranti, firmato ad aprile, che di fatto annulla il diritto d’asilo. Il Regno Unito che, dopo la Brexit, sta perseguendo la deportazione dei migranti in Ruanda. Infine l’economia di guerra che si sta affermando nei paesi dell’Unione: in Italia la spesa militare è raddoppiata rispetto al 2014, oggi ammonta a 215 miliardi di euro. Questa”, conclude amaramente, “è la situazione della “bella” Europa dopo 70 anni”.

Diverse a questo punto le considerazioni che arrivano dalle persone presenti nel pubblico. Dopo il disegno di pace che l’idea di Europa ha rappresentato al termine del secondo conflitto mondiale, dopo l’eliminazione delle barriere e l’introduzione della moneta unica, quali sono oggi le prospettive verso cui ci muoviamo? Cosa può rappresentare di positivo l’Europa per i giovani delle ultime generazioni? Come interpretare la nuova idea di Europa delle Nazioni, in cui torna in primo piano la tutela degli interessi singolari degli stati membri? Il motore politico dell’Europa oggi è davvero inevitabilmente quello dell’individualismo?

Gli individualisti siamo noi?

Chiamato a rispondere alle sollecitazioni, Gianni Borsa inizia da una precisazione: “A volte nei nostri discorsi confondiamo l’Europa continente con l’Unione europea: spesso non si distingue tra Europa culturale e Europa delle istituzioni politiche, con competenze e regole ben precise”. Per quanto riguarda la riflessione sull’individualismo, il giornalista rilancia chiamando in causa ognuno dei presenti in quanto cittadini europei: “Io credo che il papa non parli in prima battuta alle istituzioni politiche ma a noi come cristiani e cittadini: siamo noi chiamati a ricostruire il senso di comunità, a partire dalle comunità in cui viviamo: in parrocchia, nelle associazioni, nei comuni. Spesso neanche qui riusciamo a sentirci in cammino insieme con uno stesso obiettivo”.

Secondo il giornalista bisogna ripartire dal fatto che la politica dovrebbe rispondere alle esigenze di una comunità. “Non è sempre così. Mi faccio però l’esame di coscienza: forse vorrei piuttosto che rispondesse ai miei bisogni, non a quelli della comunità. È proprio qui, in noi, che sta l’individualismo. E il nazionalismo è la traduzione politica dell’individualismo che è in noi. Il problema è quanto noi ci sentiamo parte di una comunità e quanto siamo disposti a giocarci risposte comuni ai problemi della comunità, sapendo che le risorse sono sempre insufficienti. Per esempio, nella nostra società, invecchiata, le risorse devono essere orientate verso alcuni settori rispetto ad altri: più spesa sanitaria, meno spesa per l’istruzione. La politica consiste anche nel fare queste scelte, pensando all’interesse collettivo”.

Una politica di convergenze ed equilibri dinamici

Sulla questione relativa a quale politica ci vorrebbe oggi in Europa, Borsa sottolinea che nella sua storia l’Unione è stata capace di prendere grandi decisioni e ottenere risultati oggi visibili, primo fra tutti quello della pace. “In nessuno dei paesi che sono parte dell’Unione c’è stata la guerra dopo il loro ingresso nell’Ue,  questo è un fatto. Inoltre, i paesi membri dell’Unione europea sono sostanzialmente democratici. E sono paesi che hanno raggiunto un buon livello di riconoscimento dei diritti fondamentali: la sanità, l’istruzione, il welfare. Oggi due terzi del mondo non ha raggiunto questi risultati”. Questo, spiega Borsa, è stato possibile grazie alla collaborazione tra governi nazionali e istituzioni europee, secondo la dinamica delle convergenze che regola la politica dell’Unione. “In Europa non vige la contrapposizione tra una maggioranza predeterminata e un’opposizione predeterminata, ma le questioni da trattare richiedono convergenze e ricerca di “equilibri dinamici”, di risposte diverse a sfide diverse che la storia mette davanti. È per questo che in Europa i nazionalisti dei diversi paesi non riescono a convergere: perché continuano a cercare solo l’interesse della propria nazione. La politica fatta in Europa richiede invece equilibrio, perché risponde alla complessità. Per questo non dobbiamo fidarci di chi promette di risolvere tutti i problemi rapidamente e in modo semplicistico”.

Il fallimento delle politiche sulle migrazioni

Borsa si sofferma criticamente sul patto recentemente approvato in materia di migrazione: “Non risolverà il problema, perché continua a essere in vigore il trattato per cui il migrante deve rimanere nel paese di primo approdo: dovrebbe essere invece l’intera Unione ad accoglierlo. Inoltre, nelle politiche sull’immigrazione ci si è preoccupati solo di dare soldi alla Libia per non far partire i migranti tenendoli prigionieri nei “campi di concentramento”, oppure di facilitare i rimpatri. Non si è affrontato il problema dell’integrazione di chi arriva: come lo accogliamo? Come lo mettiamo nelle condizioni di godere degli stessi diritti e rispettare gli stessi doveri dei cittadini europei?  Senza considerare”, aggiunge, “che la normativa sul diritto d’asilo risponde a criteri vecchi, non considera la varietà di motivazione di chi si sposta, a causa della fame, della povertà, dei cambiamenti climatici”. Durissimo il giudizio sull’’accordo sottoscritto dal Regno Unito – che non fa più parte dell’Unione, ma conserva un ruolo geopolitico importante nel continente Europa – con il Ruanda per trasferire lì i migranti irregolari: un provvedimento che, oltre a essere “inumano”, non corrisponde ad alcun criterio giuridico.

Quale reazione di fronte alla guerra?

“Oggi nell’Europa geografica c’è la guerra”, ricorda Borsa. “Ed è entrata anche nell’Unione europea. In primo luogo, perché sono entrati i profughi, che l’Unione ha accolto mettendo in campo una normativa già approvata ma mai usata prima. In seconda battuta, l’Unione sta fornendo aiuti umanitari per miliardi di euro. Inoltre, ha già stanziato il fondo per la ricostruzione postbellica dell’Ucraina. Infine, sta fornendo armi all’esercito ucraino, rispondendo al principio del diritto internazionale della legittima difesa”. Questo pone il problema della politica della difesa comune, citato in apertura. “L’idea di una difesa comune europea nasce nel 1954 con Alcide De Gasperi”, sottolinea il giornalista che alla domanda se sia immaginabile oggi una difesa “europea” risponde positivamente. “Possiamo pensare a una difesa comune solo con una convergenza tecnico-tecnologica dei 27 paesi e solo in presenza di un’unica guida politica della difesa, che ad oggi non c’è. Potremmo immaginarla per tre scopi: per difendere i confini, che si sono dimostrati vulnerabili a Oriente, per rispondere al terrorismo internazionale, per fare operazioni di pace sotto l’egida dell’Onu”.

Guardando ai Balcani, Gianni Borsa vi vede “una ferita aperta e ancora una pentola in ebollizione”. A questo proposito si sofferma sull’allargamento verso est attuato nel 2004, con l’ingresso nell’Ue di diversi paesi dell’ex blocco sovietico: “Se dopo la caduta del muro di Berlino, non si fossero rivolti all’Unione europea, questi paesi sarebbero ancora sotto l’influenza della Russia e sarebbero oggi, in stato di guerra, paesi nemici. È vero, non hanno ancora raggiunto gli stessi standard dell’Europa occidentale, ma stanno compiendo un percorso di avvicinamento”. Per questo, conclude il giornalista, non possiamo lasciare i Balcani a loro stessi ma dobbiamo tendere loro la mano. “Questa oggi è la vocazione dell’Unione europea. L’Europa ci deve aiutare a guardare avanti, non indietro”.  Borsa richiama le parole dello storico Guido Formigoni, ribadendo che l’Europa non è un dato di fatto, ma il senso dell’integrazione europea è l’essere un progetto per il futuro. E poi cita l’ex presidente del Parlamento europeo David Sassoli, che definì l’Europa come “una cattedrale in costruzione”.

Elezioni di giugno: che fare?

“Perché dobbiamo andare a votare?”, chiede Fabrizio Annaro, riportando il tema dell’appuntamento elettorale di giugno.

“Il problema è chi votiamo e per che cosa”, rimarca Mino Spreafico, che sottolinea richiamandosi alle parole del Papa: “E’ una questione di spirito, di rimettere al centro la persona, le relazioni, il dialogo”. E rilancia: “L’economia estrattiva, il liberismo sfrenato che ha la propria mente anche in Europa  sta portando conseguenze disastrose a livello mondiale. Il nuovo trattato europeo si basa sulla deportazione delle persone. Possiamo permettere tutto questo?”

Dagli interventi del pubblico emergono parole di critica verso i media che informano poco sull’Europa, verso i politici per i discorsi elettorali privi di vere idee per l’Europa. E poi la domanda: il futuro dell’Europa è senza Cristo? L’Europa, concentrandosi solo sui diritti civili, sta abbandonando il cristianesimo?

 “L’Europa senza Cristo sono gli europei che hanno perso il senso, cristiano, di comunità”, risponde, dal pubblico, padre Giuseppe Riggio, direttore di Aggiornamenti sociali. “I partiti politici possono portare avanti certi temi, ma registrano ciò che è già nella società. Dall’Europa di domani possiamo sperare un rafforzamento dei legami sociali. Andiamo a votare perché l’Europa è una realtà, ci siamo dentro e votando possiamo imprimere una direzione”.

Gli fa eco Gianni Borsa che invita a non trascurare l’importanza dei diritti civili e afferma che Cristo sparisce all’interno dei nostri cuori, non a causa dei partiti politici. Sottolinea quindi l’importanza del voto di giugno per l’elezione del Parlamento europeo: “Oggi l’Europa è necessaria sul piano internazionale perché solo così possiamo essere una parte democratica che sta dentro la storia, in uno scenario geopolitico dominato da altre grandi potenze mondiali”.

La domanda su come faccia il cittadino a scegliere consapevolmente suscita una forte critica nei confronti dell’informazione mediatica: “Spesso non è adeguata ed equilibrata”, sottolinea Gianni Borsa. “Eppure solo una minima parte dei cittadini si informa sui media tradizionali. Spesso le opinioni si formano sui social network, sui quali chiunque ha il diritto di scrivere quello che vuole.  È anche una responsabilità e un dovere di noi cittadini informarci in modo adeguato. Spesso le istituzioni europee e le loro competenze non le conosciamo”.

La serata si conclude con un appello a svolgere in modo responsabile il dovere di cittadini , e a vivere la dimensione cristiana anche sul piano dell’impegno politico, inteso ad ampio spettro: “Il papa ci dà un’idea, un sogno di Europa come casa comune, ma non fa politica. La politica la fanno i cittadini e i loro rappresentanti.  Per questo i cristiani dovrebbero impegnarsi ad agire politicamente, agendo al servizio della comunità. Un modo per farlo è il volontariato, ma anche pagare le tasse, ed esprimere il proprio voto”.

Ecco il video relativo all’incontro del 29 aprile

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