di Alfredo Somoza
Una delle vittime eccellenti della pandemia è la democrazia.
Ma non perché è stata istaurata una “dittatura sanitaria” da noi, ma perché 80 paesi nel 2020 hanno avuto arretramenti per quanto riguarda i diritti individuali e collettivi.
Dal golpe in Myanmar alla riconquista talebana dell’Afghanistan, dalle leggi di emergenza bielorusse al golpe in Ciad. Con i difensori della terra ormai stabilmente diventati prima categoria tra gli assassinati per motivi politici.
A questo lungo elenco ora si aggiunge la Tunisia, l’unico paese reduce della cosiddetta “primavera araba” che aveva segnato importanti passi in avanti sul piano della democrazia e dove torna la tentazione di ricadere nel modello classico dell’uomo forte, tipico dei regimi dell’area.
Aggiungiamo la strage continua di giornalisti, le aggressioni anche mortali contro persone LGBT o di diversa etnia e religione, come i musulmani asiatici perseguitati in diversi paesi, per concludere che la salute del mondo non è buona. E tendenzialmente in peggioramento, perché continuiamo ad essere ancora nella fase del si salvi chi può.
Mentre qualcuno sfila a Parigi o a Milano affermando di essere sotto una dittatura sanitaria, rischiando solo che il selfie venga male, in Myanmar sono già oltre mille le persone ammazzate perché scese in piazza a denunciare una vera dittatura. Si confondono dramma e farsa, si insultano le vittime della Shoah facendo paragoni allucinanti con i lager nazisti.
E nel frattempo la democrazia è a rischio ovunque, non tanto per via delle restrizioni dovute alla crisi sanitaria, ma perché la pandemia è stata una grande occasione per dittatori, o aspiranti tali, per fare ulteriori passi verso il regime, sfruttando il clima di panico generalizzato e l’ossessionante martellamento dei media sul Covid 19. Chi diceva l’anno scorso che si sarebbe usciti meglio di prima da questa crisi sbagliava tutto. Non usciremo bene di sicuro, soprattutto perché si continua a immaginare il mondo ridotto al triangolo del benessere tra Nord America, Europa e Oceania.
I dati OMS ad oggi sono impietosi. È stato vaccinato con una dose il 27,3% dell’umanità e con due dosi il 13,8%. Nel gruppo dei paesi a più basso reddito, a maggioranza africani, è stato vaccinato con almeno una dose solo l’1,1% degli abitanti. Basta leggere questi numeri per capire che sarà ancora molto lunga, e che a ogni tentativo di riapertura arriverà una variante maturata nei luoghi dove non c’è né sanità né vaccini, ma tanta miseria.
È l’ennesima dimostrazione del fatto incontrovertibile che siamo tutti sulla stessa barca. Quanto dureranno così come le abbiamo conosciuto le democrazie occidentali se continuano i divieti e le chiusure? Quanto peserà ancora il protagonismo di regimi, quali la Cina o la Russia, in grado di sostenere altri regimi e di spingere le poche democrazie rimaste verso l’autoritarismo? Chi avrà il coraggio di prendere il toro di big pharma per le corna restituendo sovranità agli stati? Chi si ricorderà di chi non ha le risorse per fare fronte alla pandemia?
Tante le domande, nessuna risposta da parte di chi dovrebbe fornirle. Iniziative come la Minimun Global Tax o la sospensione dei brevetti dei vaccini restano spot pubblicitari buoni per i Vertici, ma poi presto dimenticati. La sfida di oggi è riuscire a dare risposte alle varie emergenze rinforzando piuttosto che limitando la democrazia. Ma tenendo presente sempre che democrazia non è una sommatoria di individui, ma la costruzione e la cura di una comunità con diritti e doveri. È soprattutto che la democrazia vive se vive la politica, e se si fa politica guardando al domani.