di Virginia Villa
In A Roma non ci sono le montagne, Ritanna Armeni firma un romanzo intenso e intimo che intreccia con maestria memoria personale, riflessione politica e una profonda analisi generazionale. Un’opera che, pur nella sua apparente semplicità narrativa, si rivela densa di significati e attraversata da una malinconia sottile e lucida.
Trama e struttura
Il libro ruota attorno al racconto di una figlia che assiste il padre durante gli ultimi giorni della sua vita. Un padre comunista, austero, fortemente legato agli ideali politici e morali che hanno segnato l’Italia del dopoguerra. La storia si svolge principalmente in un ospedale romano, dove le giornate scorrono lente e dense di silenzi, ricordi, piccoli gesti e dialoghi sospesi. Il titolo stesso, A Roma non ci sono le montagne, evoca una mancanza, un’assenza – geografica, sì, ma anche emotiva, identitaria. Le montagne diventano simbolo di un mondo che non c’è più, di un orizzonte ideale ormai lontano.
Uno sguardo delicato sull’intimità familiare
Armeni costruisce il romanzo con grande sensibilità, evitando il sentimentalismo ma scavando in profondità nel rapporto padre-figlia. Il loro legame, mai urlato, è fatto di rispetto, distanza, affetto trattenuto. La malattia del padre diventa l’occasione per la protagonista – e per il lettore – di interrogarsi sulla memoria, sulla trasmissione dei valori, sul senso della fine.
La narrazione è sobria, calibrata, quasi pudica. Ma è proprio questa asciuttezza stilistica a rendere ogni parola più potente, ogni riflessione più incisiva. L’attenzione ai dettagli – un gesto, una frase non detta, uno sguardo – restituisce la verità dell’esperienza vissuta, senza orpelli né retorica.
Politica, identità e disincanto
Come spesso accade nei libri di Armeni, la dimensione privata si intreccia con quella collettiva. La figura del padre non è solo quella di un genitore, ma anche di un militante comunista, un uomo che ha creduto in un’ideologia e ne ha vissuto le trasformazioni e i fallimenti. Attraverso la sua figura, l’autrice compone anche un affresco dell’Italia del Novecento, delle speranze e delle disillusioni che hanno attraversato la sinistra, dell’eredità culturale e morale di una generazione che ha tentato di cambiare il mondo.
Tuttavia, A Roma non ci sono le montagne non è un romanzo ideologico. È piuttosto un tentativo, delicato e onesto, di fare i conti con la storia, di comprendere senza giudicare, di guardare al passato con lucidità e tenerezza.
Un linguaggio limpido e potente
Lo stile di Armeni è, come sempre, elegante e preciso. La scrittura si muove con grazia tra piani temporali, evocando ricordi dell’infanzia, squarci della storia familiare e nazionale, pensieri interiori e descrizioni minime dell’ambiente ospedaliero. La voce narrante è intima e controllata, capace di coinvolgere il lettore in un dialogo silenzioso e profondo.
Conclusioni
A Roma non ci sono le montagne è un libro che resta. Un romanzo di commiato e di riconciliazione, che parla della morte ma anche – e forse soprattutto – della vita, del legame tra le generazioni, della complessità dei sentimenti umani. Ritanna Armeni, con la sua scrittura sobria e intensa, offre un’opera toccante e autentica, capace di emozionare senza forzature, di far riflettere senza didascalie.
Una lettura consigliata a chi cerca narrativa di qualità, capace di unire introspezione e memoria storica, emozione e pensiero.