Libri in Dialogo: “Il bambino” di Fernando Aramburu

di Virginia Villa

Il bambino” (El niño, in originale) di Fernando Aramburu si inserisce nel solco di una narrativa civile e intimista, dove la memoria privata si intreccia con la storia collettiva. Il romanzo prende spunto da un evento reale: l’esplosione nella scuola di Ortuella, nei Paesi Baschi, il 23 ottobre 1980, in cui morirono 50 bambini e tre adulti. Questa tragedia, sebbene non sia il fulcro storico esplicito del libro, funge da detonatore per un’indagine dolorosa e sensibile sul lutto, sulla disgregazione familiare e sulla persistenza del trauma.

Il romanzo si articola attorno alla figura di Nuco, un bambino morto in circostanze tragiche. A differenza di un narratore onnisciente o di una linea temporale lineare, Aramburu adotta un approccio frammentato e prismatico: la vita e la morte di Nuco vengono esplorate attraverso le voci e le memorie delle persone che gli sono sopravvissute. I principali punti di vista sono:

  • Nicasio, il nonno: incapace di elaborare il lutto, vive in una sorta di “realtà parallela”, in cui Nuco continua a essere presente come interlocutore e compagno. La sua voce è la più poetica, surreale e tenera.

  • Mariaje, la madre: una donna dura, quasi anaffettiva, che cerca di affrontare il dolore spezzando i ponti con il passato. La sua parte è intensa, fatta di silenzi e scelte dolorose.

  • José Miguel, il padre: un uomo semplice, goffo, che si trova schiacciato tra la necessità di mantenere una parvenza di normalità e la devastazione del trauma.

Questa coralità di voci è orchestrata con grande sapienza stilistica, rendendo ogni personaggio non un semplice tipo umano, ma un’anima ferita e tridimensionale.

Tra metanarrazione e realismo poetico

Uno degli aspetti più innovativi del romanzo è il suo uso metanarrativo: in dieci capitoli, il narratore interrompe il flusso narrativo per riflettere sul proprio ruolo, sulla scrittura stessa e sul modo in cui la letteratura si appropria del dolore reale per trasfigurarne il significato. Questi momenti non sono intrusivi, ma diventano parte del tessuto emotivo del romanzo, offrendo pause riflessive e mostrando la consapevolezza etica dell’autore.

Aramburu alterna registri: al lirismo struggente delle parti oniriche (soprattutto quelle con Nicasio), si contrappone un realismo secco e diretto nelle sezioni più dure e familiari. Lo stile è sobrio, essenziale, spesso interrotto da immagini evocative ma mai retoriche. La lingua italiana della traduzione di Bruno Arpaia conserva intatta questa tensione tra pudore e lirismo, tra dolore e dignità.

Quattro temi principali

1. Il lutto e la sua elaborazione

Il lutto è il motore narrativo del romanzo, ma non viene trattato come un evento episodico. È una condizione permanente, un cambiamento ontologico nella vita dei personaggi. Aramburu descrive tre risposte al lutto: la negazione (Nicasio), la rimozione (Mariaje), e la sopravvivenza passiva (José Miguel). Questa molteplicità di reazioni rende l’opera universalmente toccante.

2. Famiglia e solitudine

Ogni personaggio, pur all’interno della stessa famiglia, è isolato. La tragedia non li unisce ma li frantuma. Il romanzo suggerisce che la perdita di un figlio non solo distrugge, ma disgrega i legami più profondi, mettendo a nudo l’inadeguatezza del linguaggio e dei gesti.

3. Memoria e rappresentazione

Il libro è anche una riflessione sull’atto del ricordare. Attraverso la figura di Nicasio, che continua a vedere e parlare con Nuco, Aramburu ci mostra come la memoria non sia lineare né oggettiva: è selettiva, immaginaria, affettiva. Eppure, è proprio in questa memoria che risiede la possibilità di sopravvivere.

4. Letteratura e responsabilità

Con i suoi inserti metanarrativi, il romanzo si interroga sulla responsabilità dello scrittore nel raccontare il dolore. Il narratore esplicita la tensione tra il voler fare giustizia al dolore reale e la necessità di mediazione estetica e narrativa.

In conclusione, “Il bambino” non è un romanzo da leggere di fretta. È un libro da metabolizzare, da ascoltare più che leggere. È un’opera sull’assenza, sull’infanzia negata, ma anche sulla potenza dell’immaginazione come unica via possibile per non soccombere. Aramburu non offre consolazioni, ma uno sguardo sincero, delicato e profondamente umano sul dolore. È un romanzo che non urla, ma sussurra — e proprio per questo colpisce più a fondo.

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