di Virginia Villa
“La vegetariana“ è un romanzo della scrittrice sudcoreana Han Kang, pubblicato nel 2007 in Corea del Sud e successivamente tradotto in molte lingue, ottenendo nel 2016 il prestigioso Man Booker International Prize. L’opera si distingue per il suo stile evocativo e per la potenza del tema trattato, una storia di ribellione, alienazione e autodistruzione raccontata attraverso una narrazione frammentata e simbolica.
Il romanzo si articola in tre parti, ciascuna narrata da un punto di vista diverso, ma tutte incentrate sulla figura di Yeong-hye, una donna apparentemente ordinaria che, dopo un sogno disturbante, decide di smettere di mangiare carne. Questo gesto, in apparenza banale, si trasforma in un atto di resistenza estrema, che la porterà a uno scontro violento con la famiglia e la società sudcoreana, rigidamente patriarcale e conformista.
La prima parte, La vegetariana, è narrata dal marito di Yeong-hye, un uomo mediocre e conformista che non comprende e non accetta la scelta della moglie. La sua decisione di smettere di mangiare carne viene vista come un atto di ostinazione e capriccio, una deviazione dall’ordine stabilito che mina la stabilità familiare. La situazione degenera quando la famiglia di Yeong-hye cerca con la forza di farle mangiare carne, culminando in un episodio di violenza particolarmente scioccante.
La seconda parte, La macchia mongolica, è raccontata dal cognato di Yeong-hye, un artista ossessionato dalla sua figura esile e dalla macchia mongolica che lei ha sulla schiena. La sua ossessione sfocia in una relazione disturbante, in cui l’arte si mescola al desiderio e alla trasgressione, portando a un’esplorazione visiva ed erotica del corpo di Yeong-hye, ormai sempre più distante dalla realtà e dal proprio stesso corpo.
La terza parte, Fiamme arboree, è narrata dalla sorella di Yeong-hye, In-hye, l’unico personaggio che cerca realmente di comprendere la protagonista. Ormai ricoverata in un ospedale psichiatrico e ridotta all’anoressia estrema, Yeong-hye crede di trasformarsi in un albero, rifiutando qualsiasi nutrimento che non sia la luce del sole e l’acqua. In-hye riflette sul proprio ruolo nella vita della sorella e sulla sua stessa esistenza, chiusa in un matrimonio infelice e in un sistema che, come Yeong-hye, ha sempre subito senza ribellarsi.
Uno degli elementi più potenti del romanzo è la sua capacità di esplorare il corpo femminile come campo di battaglia. Il rifiuto del cibo da parte di Yeong-hye non è solo una scelta alimentare, ma un atto di ribellione contro il controllo maschile e sociale sul corpo delle donne. Il suo progressivo allontanamento dalla realtà può essere letto come una forma di autodistruzione, ma anche come una ricerca di libertà assoluta, un tentativo estremo di sottrarsi a un mondo che la opprime.
Lo stile di Han Kang è asciutto e incisivo, ma al tempo stesso estremamente evocativo. La narrazione si muove tra realismo e simbolismo, con immagini potenti che rendono il romanzo quasi onirico. La presenza costante della natura, in particolare del mondo vegetale, diventa un elemento chiave nella trasformazione della protagonista, che rifiuta il cibo animale per avvicinarsi sempre di più a un’idea di fusione con la natura.
L’impatto emotivo del romanzo è amplificato dalla sua struttura frammentata e dai diversi punti di vista, che permettono di osservare Yeong-hye da angolazioni differenti, senza mai darle realmente voce. Il lettore non entra mai direttamente nei pensieri della protagonista, ma la conosce solo attraverso le percezioni degli altri personaggi. Questo crea un senso di distanza e di impotenza, che rispecchia la condizione della stessa Yeong-hye, isolata e incompresa dal mondo che la circonda.
Uno degli aspetti più inquietanti del libro è il modo in cui la società reagisce alla decisione di Yeong-hye. Il suo rifiuto della carne è visto come una minaccia all’ordine costituito, una trasgressione inaccettabile che deve essere punita. La violenza con cui viene trattata dalla famiglia e dagli uomini che la circondano è un ritratto impietoso del patriarcato e della rigidità sociale in Corea del Sud, ma può essere esteso a molte altre culture.
Il romanzo affronta anche il tema della follia e della percezione della realtà. La trasformazione di Yeong-hye è un percorso che la porta al di fuori dei confini della razionalità, ma il lettore è portato a chiedersi se sia davvero lei la folle, o se sia invece la società a essere intrinsecamente malata. Il suo desiderio di diventare un albero è assurdo solo se visto dalla prospettiva di chi la circonda, ma nella logica interna del romanzo assume una coerenza poetica e metafisica.
In definitiva, La vegetariana è un’opera intensa e disturbante, che sfida le convenzioni narrative e affronta temi profondi con una scrittura potente e visionaria. È un romanzo che lascia un segno nel lettore, spingendolo a riflettere sulla libertà individuale, sul controllo sociale e sulla fragilità dell’identità umana. Non è una lettura facile, né consolatoria, ma è proprio nella sua capacità di turbare e mettere in discussione le certezze che risiede la sua straordinaria forza.