L’ispettore generale di Gogol: la recensione

di Marco Riboldi

Con “L’ispettore generale”, Gogol portò in scena, nella Russia zarista del 1836, una feroce satira contro la società corrotta e meschina dei suoi tempi.

La trama è semplice e al contempo intrigante: in un distretto periferico della grande Russia, si diffonde la notizia dell’arrivo di un ispettore inviato dalla capitale per indagare sullo stato del luogo e sull’operato dei pubblici funzionari.

La notizia getta nel panico tutti gli amministratori: ognuno di loro sa di aver commesso ingiustizie, frodi, di essersi lasciato corrompere e di non poter convincere nessuno della propria competenza ed innocenza.

Così capita che un piccolo truffatore di provincia, giunto in città pieno di debiti di gioco e senza un soldo, venga scambiato per l’ispettore e immediatamente corteggiato, riempito di regali e di denaro, perfino desiderato come genero dallo spaventatissimo podestà e dalla moglie, che già si vede a Pietroburgo, suocera di  una persona così importante.

Inutile dire che, non appena resosi conto dell’equivoco in cui sono caduti i cittadini del posto, il truffatore si adatta a meraviglia alla situazione, spremendo il più possibile, per poi darsi alla fuga.

La commedia termine con la scoperta che il vero ispettore è appena giunto e si appresta a chiedere davvero conto dell’operato di tutti i funzionari. 

Gogol tratteggia quindi tutta la meschinità di un piccolo mondo avido, scaltro, ma disonesto e quindi facile preda della paura e della truffa, avido e vanitoso, desideroso di raggiungere ricchezza, o quanto meno agiatezza, e promozione sociale.

L’opera è una denuncia piuttosto forte del degrado della società russa e verrà dopo pochi anni seguita da un’altra, altrettanto se non più forte, cioè il “poema in prosa”   “Le anime morte”.

In tutto Gogol la vena satirica è molto vivace e sa appassionare il pubblico e il lettore.

La scelta del regista Leo Muscato insiste molto proprio su tale vena satirica, puntando (anche con l’intelligente adattamento, che condensa in un atto unico di 90′ circa la commedia) ad offrire allo spettatore una recitazione godibile, che fa intravedere solo  qua e là la dimensione graffiante e persino malinconica della situazione.

A qualche critico questa scelta è sembrata non completamente centrata: forse sotto il profilo strettamente filologico può anche essere, ma certo ha consentito una presentazione molto gradevole e molto gradita dal pubblico.

La scenografia non troppo complicata, è ben giocata grazie anche all’apparato scenico ruotante, che consente di creare in pochi secondi l’ambientazione adeguata.

Più che buona la prova degli attori, con l’eccellenza dei due protagonisti, Rocco Papaleo nei panni del podestà e  Daniele Marmi che, con il suo ispettore, ci ha  davvero offerto una prova di altissimo livello e di grande bravura.

Un plauso alla direzione artistica del teatro, che ha proposto finora una stagione  davvero interessante, con scelte molto centrate. 

 

image_pdfVersione stampabile