L’occhio di Marco Petrus su Napoli

di Daniela Annaro

Scoprire il territorio attraverso gli occhi e la mente di un artista. E’ quello che regala il  cinquantasettenne Marco Petrus. Attraverso le sue  opere abbiamo visto e “riletto”, da inquadrature particolari, palazzi e architetture di Santa Fe, Mosca, Venezia, Milano, New York, Londra, Roma, Berlino, Shanghai, Tapei.

Metropoli dove ha dipinto ed esposto in sedi prestigiose. Ora ci porta a Napoli, alle Gallerie d’Italia – Palazzo Zevallos Stigliano, sede museale partenopea di Intesa Sanpaolo. “Matrici” si intitola la mostra curata da Michele Bonuomo, aperta dal 25 giugno al 3 settembre 2017.


Venticinque tele monumentali offriranno uno sguardo particolare su un quartiere noto come Scampia. Petrus, però, non intende raccontare il degrado del luogo, una zona ad alto tasso di disoccupazione e in mano alla criminalità organizzata. L’artista, da sempre, ama le forme dell’architettura: linee e geometrie che si stagliano nello spazio, che intrecciano la luce, che si sposano con i colori della sua creatività.


Sin dagli esordi, dopo il liceo artistico e la facoltà di architettura, Marco Petrus ha guardato a case e palazzi abitati dall’uomo. Giovanissimo, dipingeva con tinte cupe le periferie industriali della sua Milano, città dove è cresciuto e vive. Quadri “sironiani” dove avvertivi le difficoltà di chi vi lavorava, ma  nelle sue tele non c’era l’uomo, la figura umana. Il dolore e la sofferenza di quei luoghi  si percepiva attraverso le scelte stilistiche: colori spenti e toni dimessi.


Da allora, c’è stata una sorta di metamorfosi nella pittura di Petrus. Una metamorfosi che innanzitutto denota la capacità di rinnovarsi, di offrire nuovi orizzonti e prospettive visive . Nelle mani di Petrus il paesaggio urbano ha acquisito altre caratteristiche. Da realtà spesso sgradevoli alla vista, i suoi pennelli hanno estratto l’essenza di quelle forme di cemento: campiture piatte ricche di linee che si intersecano, linee seducenti che aiutano ad astrarsi e liberano l’immaginazione dello spettatore.

Accade così anche per questi nuovi lavori. Il primo ad accorgersene è stato Roberto Saviano che per presentare la serie televisiva di Gomorra in Rai, li  ha voluti come sfondo durante il suo collegamento da New York (il programma era “Che tempo che fa” di Fabio Fazio). Era il 2015. Petrus ha continuato la sua ricerca e ha realizzato questa nuovissima serie di tele proprio per la mostra napoletana.

Il suo linguaggio si è ulteriormente concentrato sulle forme geometriche nello spazio: sempre più astratte, sempre più non figurative, aniconiche. E così ci ha restituito un paesaggio urbano, quello di Scampia, meno doloroso e più ordinato. Come era nell’intenzioni, immaginiamo e speriamo, dell’architetto Franz Di Salvo che nel 1962 e firmò  il progetto  delle sette strutture giganti, ispirandosi alle famose unités d’habitation di Le Corbusier. Unità abitative che, secondo i principi urbanistici del maestro dell’architettura moderna,  avrebbero dovuto essere  “luogo dell’abitare e  della socializzazione” promuovendo “la creazione e lo sviluppo di legami d’amicizia tra gli abitanti”, “l’organizzazione di attività collettive di diverso genere, culturale, artistico, sportivo…”,nonché  “la difesa di interessi comuni”. Un’utopia che, almeno a Scampia, si  è scontrata con la storia.  Un paradosso urbanistico e progettuale dai toni drammatici. E’ successo che gli unici legami li abbiano dettati i clan camorristici. Non a caso, proprio all’interno delle Vele è stato girato gran parte del film, e della serie, “Gomorra“.

Le Vele reinterpretate da Marco Petrus, con il suo amore per l’architettura e tutto quello che il progetto architettonico racchiude, consentono a tutti noi  di ripensare a quell’utopia e in qualche modo, permettono di continuare a sognare.

 

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