di Fabrizio Annaro
“Primo maggio di festa oggi nel Vietnam, ma forse in tutto il mondo”. Così le parole della canzone di Claudio Lolli, cantautore politicamente impegnato che negli anni ’70, con le sua chitarra e le sue canzoni, ha “accompagnato” un pezzo di storia: quello della contestazione, degli scontri con la polizia, ma soprattutto del Vietnam, simbolo di un credo e di una lotta che bandiva l’imperialismo, ovviamente americano, proclamava l’indipendenza dei popoli come valore universale, e decretava il Vietnam il “moderno Davide che sfida e vince Golia, la potenza americana”. Idee, utopie con le quali sono cresciute intere generazioni del ricco occidente: “La Vittoria del Vietnam, illumina il primo maggio” era il titolone dell’Unità, all’epoca quotidiano del vecchio Pci, partito che ha fatto della guerra del Vietnam una delle bandiere della propria politica internazionale e uno dei motivi che gli anno permesso un vasto consenso soprattutto fra i giovani di allora. Il mito del Vietnam, a differenza degli altri paesi comunisti, resiste nel tempo.
Tre anni dopo la liberazione di Saigon, nel 1978, le truppe vietnamite invadono la Cambogia per destituire il regime sanguinario di Pol Pot. All’inizio si alza un coro di condanne e la guerra fra due paesi comunisti è uno shock per molti ammiratori dei regimi d’oltre cortina. Il consesso internazionale, invece, ringrazia Hanoi per aver tolto dai piedi Pol Pot, uno fra i più spietati dittatore che la storia ha conosciuto.
Era il primo maggio del 1975 quando l’esercito di Hanoi entra in Saigon liberando le ultime zone del sud e deponendo l’allora governo, messo in piedi dagli americani. Lo stesso giorno l’esercito stelle e strisce lascia il Vietnam e un anno dopo, nel 1976 il Vietnam si proclama repubblica socialista.
Ancora oggi il partito comunista governa il paese e convive, come in Cina, con lo sviluppo industriale e finanziario. Leggiamo su Wikipedia che “La Costituzione del Vietnam è entrata in vigore nel 1992 e assegna al Partito Comunista Vietnamita il ruolo di guida all’interno della società vietnamita. Possono concorrere alle elezioni solo le organizzazioni affiliate al partito. La forma di governo è di stato socialista unicamerale. Il potere legislativo è delegato all’Assemblea Nazionale, composta da 493 membri”. Ma i diritti umani sono sistematicamente violati – leggiamo ancora su Wikipedia – che ” i khmer buddisti del delta del Mekong e i cristiani Montagnardi protestano da anni per confische di terreni e persecuzione religiosa. Più di 400 prigionieri politici e religiosi sono detenuti nelle prigioni. Il governo vietnamita controlla severamente i media cartacei, televisivi e telematici, chi diffonde informazioni o scritti contro il governo è perseguito penalmente e rischia lunghe pene detentive e l’internamento in “campi di rieducazione”. Le sole forme di religione autorizzate sono quelle controllate e regolamentate dal governo centrale, si registrano arresti e uccisioni di leader religiosi che invocano libertà di culto, di parola, di espressione. Il governo vietnamita ha messo al bando tutti i partiti politici indipendenti e le associazioni per i diritti civili, per i dissidenti si registrano intimidazioni, arresti e sparizioni”.
La violazione dei diritti umani è un epilogo non certo immaginato, da coloro che il primo maggio di quell’anno sventolavano le bandiere e la gloria di un avvenire che non si è mai realizzato. In ogni caso il primo maggio ha decretato la fine della guerra, una guerra spietata e crudele che ha lasciato ferite e dolori sia nel popolo americano che in quello vietnamita. La speranza è che “un altro primo maggio” possa raggiungere il Vietnam: quello che sancirà la fine delle violazioni dei diritti umani e il trionfo della democrazia. Speriamo di assistere all’evento.