di Daniela Zanuso
E’ rimasto nella memoria collettiva come il “maggio francese”, perché la fase più critica della rivolta iniziò il 3 maggio 1968, con gli scontri alla Sorbona. In realtà il “maggio” iniziò a marzo e finì in giugno, ma se vogliamo capirne le radici, bisogna tornare indietro di qualche anno, negli Stati Uniti, con le prime manifestazioni contro la guerra nel Vietnam e contro il razzismo.
Comunque sia, quei mesi furono l’apice di quello che può essere definito il Sessantotto mondiale, quel movimento giovanile che attraversò mezzo mondo, segnando – nel bene e nel male – un’intera generazione. Fu una rivolta spontanea, di natura insieme sociale, politica, culturale e anche filosofica, indirizzata contro la società tradizionale, il capitalismo , l’imperialismo e, per quanto riguardava la Francia, contro il potere gollista allora dominante.
Le manifestazioni studentesche ed operaie si tradussero in una contestazione generale che coinvolse tutti gli aspetti della vita e segnarono un momento di rottura rispetto alle tradizione del passato. Il bersaglio generale era il potere con le sue strutture gerarchiche. Il Sessantotto rappresentò, innanzitutto, un terremoto culturale: figli contro padri, studenti contro professori, operai contro capitalisti.
La parola d’ordine era trasgressione, con il desiderio di cominciare un processo di liberazione dall’autoritarismo, dalle tradizioni e dal controllo repressivo delle istituzioni. I giovani del Sessantotto, divennero paladini della libertà, di una libertà senza confini, di una libertà che spesso si trasformava in un liberticidio, come accadde con gli effetti devastanti della droga. Possiamo affermare che il Sessantotto fu un acceleratore del processo di rivoluzione femminile non ancora ultimato. Quel momento aveva in sé la grande utopia di rivoluzionare la società e trasformare il mondo in un’umanità libera e consapevole.
Qualcuno la definisce ancora oggi la “rivoluzione mancata” . È tuttavia indiscutibile che abbia aperto la strada alle nuove forme di contestazione e mobilitazione che negli anni settanta produssero l’autogestione, il decentramento, inteso come “ritorno alla terra” e quella che fu definita l’ecologia politica.
La canzone Imagine di John Lennon del 1971, esprime meglio di tanti trattati il significato e il clima di quegli anni. “…Immagina non ci siano nazioni, non è difficile da fare, niente per cui uccidere e morire e nessuna religione , immagina tutta la gente che vive in pace. Puoi dire che sono un sognatore, ma non sono il solo. Spero che ti unirai a noi, anche tu un giorno e il mondo vivrà in armonia, immagina un mondo senza la proprietà, mi chiedo se ci riesci, senza bisogno di avidità o fame, una fratellanza tra gli uomini, immagina tutta le gente ,che condivide il mondo…”.