di Silvia Biffi
Cos’è la follia? E’ un orologio o un metronomo che dimentica di camminare o di fermarsi. [Man Ray, diari]
Oggi l’occhio del metronomo batte centoventicinque volte le ciglia consegnandoci la manciata d’arte del suo costruttore, tutta da riordinare.
Nato a Filadelfia il 27 agosto 1890 sotto il vero nome di Emmanuel Radnitsky, Man Ray cresce travolto dall’irruenza delle avanguardie americane; abbandona presto gli studi per approcciarsi all’arte attraverso opere e sperimentazioni. Nel 1914 compra la prima macchina fotografica consacrandosi ad un mondo lucido che non abbandonerà mai. Mentre costruisce le fondamenta della propria poetica, conosce Marcel Duchamp, l’amico che gli cambia la vita.
A Goya non capitò forse di dipingere con un cucchiaio non avendo un pennello a portata di mano? E Tiziano, che si vantava di poter ricreare le carni della Venere con il fango? E’ indispensabile superare la limitatezza dei mezzi e usare l’immaginazione [Man Ray, Diari].
Insieme a lui Man Ray importa dall’Europa il nuovo senso di rifiuto dell’arte tradizionale, dando origine al Movimento Dada, a cui si dedica completamente.
Avviene qui la svolta che eleva l’Uomo-raggio al rango degli artisti riconoscibili: a seguito di Duchamp si trasferisce nella bella Parigi per ritrarne la bellezza. E se la bellezza è la gente, troviamo allora moltissimi ritratti di personaggi noti, ribelli, naturali e stravaganti. Man Ray impressiona Gertrude Stein, Andrè Breton, James Joyce, Jean Cocteau, Picasso, presentandoli al mondo con tutta la schiettezza della fotografia. La propensione all’assurdo e al disarmante porta l’artista ad aderire al Surrealismo, nuovo stendardo della cultura.
New York ci manda un suo dito d’amore, che non tarderà a solleticare la suscettibilità degli artisti francesi. Speriamo che questo solletico metta ancora una volta in evidenza la ben nota piaga che caratterizza la profonda sonnolenza dell’ arte. I quadri di Man Ray sono fatti di basilico, di noce moscata, di un pizzico di pepe e di rametti di prezzemolo dal cuore duro. [Tristan Tzara, Sulla prima esposizione surrealista]
La quotidianità esplode: mentre le sue opere toccano la Prima Esposizione Surrealista, nella vita di Man Ray entra come un vortice la lucente Kikì de Montparnasse, musa forte ed amante verace. La Grande Guerra lo costringe al rientro in patria ma il cuore europeo lo richiama presto indietro e trascorre gli ultimi anni a Parigi, sempre in mostra.
L’eredità di Man Ray è soprattutto fotografica e nei libri di scuola trova sempre un po’ di posto Le Violon d’Ingres, immagine surreale di una donna di spalle con incisi nei fianchi i tratti d’un violoncello. Forse questa figura dilata davvero un mondo a sé, dove trovano spazio anche gli altri aspetti della vita dell’artista: i Rayographs, gli oggetti inutili, i dipinti e la filmografia – tutti sottesi in un filo di musica.
Sarà che il raggio di Man Ray passa davvero tanto in fretta da poterlo afferrare solo in rincorsa.
Silvia Biffi