Marco Baliani narra il mito

di Francesca Radaelli

Una sedia al centro del palcoscenico, un solo attore seduto sopra, la sua voce come unico mezzo per creare le immagini che prendono forma davanti al pubblico.

 Il palcoscenico è quello del Teatro Manzoni di Monza, nella serata di venerdì 21 febbraio, dedicata al secondo spettacolo della rassegna “Altri percorsi”. L’attore è Marco Baliani, uno dei fondatori e protagonisti del teatro di narrazione contemporaneo. La formula riprende proprio quella di spettacoli “fondativi” del genere, su tutti il celebre “Kohlhaas”, un testo che continua a essere rappresentato nei teatri a 25 anni dal suo debutto.

Il contenuto della narrazione è nuovo, perché nuovo è il monologo dal titolo “Quando gli dei erano tanti” , presentato in prima nazionale a Piacenza nel giugno 2024. In realtà però il contenuto mitico della narrazione è forse l’aspetto più antico di tutto lo spettacolo. Rimanda al tempo in cui le storie non si vedevano ma si ascoltavano, in cui la trasmissione orale consentiva di trasformarle e renderle sempre nuove. Un tempo precedente alle scritture, che dovrebbero fissare la forma delle cose una volta per tutte. Lo dice lo stesso Baliani, nel corso della narrazione, e lo rimarca davanti al pubblico nel momento di dialogo finale, un regalo che è solito fare al pubblico del Manzoni.

Le “scritture” a cui si ispira esplicitamente il monologo sono quelle di Roberto Calasso, che conservano il carattere aperto dell’oralità, intrecciando i miti con altri miti, e rappresentano un inizio perfetto per mettere in moto gli intrecci narrativi. Ma questi proseguono, incrociano altre strade, si diramano lungo altri sentieri. Perchè tanti dei significano anche tante possibilità di narrazione, e donano possibilità di trasformazione delle cose sconosciute ai monoteismi.

Accade con il racconto delle nozze tra Cadmo e Armonia, lo straniero e la figlia dell’amore proibito tra Ares e Afrodite, cacciata dall’ Olimpo. Accade con la storia dello sguardo proibito del cacciatore Atteone verso la dea Artemide, che provoca la trasformazione del cacciatore in una preda dei propri cani. I miti narrati si ramificano, si intrecciano con altre suggestioni letterarie (da Giacomo Leopardi a Rainer Maria Rilke), ma anche con i racconti autobiografici che vedono protagonista lo stesso narratore, secondo modalità sconosciute ai narratori antichi.

Nei labirinti del mito ci si perde, ascoltando i fili intrecciati dalla voce del narratore, sempre seduto sulla sua sedia, al centro del palco, come una sorta di Omero contemporaneo, un cantore che attraversa il passato e il presente, che intreccia il mito collettivo e le vicende soggettive. Una voce che forse è più difficile ascoltare in un mondo in cui i messaggi forti vengono trasmessi attraverso la vista e le immagini, rispetto alle quali la parola perde sempre più terreno.

Lo stesso Baliani lo sottolinea al termine dello spettacolo, consapevole delle sfide poste davanti ai narratori dei nostri tempi: i maestri della parola, quelli che raccontano stando seduti su una sedia, riusciranno ancora ad ammaliare un pubblico sempre più ammaliato dalle “visioni”? A giudicare dagli applausi finali del pubblico monzese, Marco Baliani venerdì sera ce l’ha fatta.

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