di Francesca Radaelli
Grande accoglienza a Monza per Mario Calabresi. Lo scorso martedì 13 dicembre al Teatro Villoresi la sala era gremita e c’era il pubblico delle grandi occasioni – sindaco compreso – ad ascoltare il giornalista e scrittore milanese dialogare con il collega Michele Brambilla.
L’occasione era la presentazione dell’ultimo libro di Calabresi, “Una volta sola”, organizzata dall’Associazione Carrobiolo in collaborazione con il Magazine di chi scrive con gli occhi Scriveresistere, il giornale online Il Dialogo di Monza, la Cooperativa La Meridiana e Fondazione Cariplo.
La potenza delle storie
Una serata piacevole e stimolante, grazie alla combinazione perfetta di tre ingredienti.
Il primo è sicuramente il libro, che raccoglie 14 storie, vere e potenti, di persone più o meno ordinarie che hanno avuto ‘il coraggio di scegliere’, come recita il sottotitolo.
Il secondo sono le persone protagoniste di queste storie, alcune delle quali sono state evocate in modo talmente nitido durante la serata da dare l’impressione che fossero anche loro presenti sul palco. La signora che dopo una vita di abusi a 80 anni trova il coraggio di denunciare il marito per violenza domestica. Il profugo afghano che, dopo una storia complicata, ora fa il sarto a Torino. Oppure la monzese Laura Tangorra, malata di Sla da oltre 20 anni, che ogni giorno sceglie la vita e continua a far sentire la sua voce attraverso la scrittura.
Ma soprattutto il terzo ingrediente: Mario Calabresi, l’autore di questo libro. Una persona che ha scelto di seguire fino in fondo la propria vocazione di narratore di storie, andandole a cercare di persona, magari spinto dalla curiosità suscitata da un trafiletto su un giornale, o anche aspettando con pazienza che emergano, senza fretta ma senza nemmeno darsi per vinto.
Il risultato è stata una successione non banale di aneddoti curiosi e profonde riflessioni di senso, sollecitate dalle domande sempre incisive di Michele Brambilla.
Un libro figlio del lockdown
“Il bisogno di scrivere questo libro ha iniziato a prendere corpo durante il lockdown del 2020”, ha spiegato Calabresi. “Un evento che nessuno di noi avrebbe potuto mai immaginare, che ci ha obbligato a rinunciare a qualsiasi tipo di programma avessimo in mente e a fermare le nostre vite. Abbiamo vissuto ciò che la generazione dei miei nonni aveva sperimentato durante la guerra. Un’esperienza da cui nasceva anche la convinzione, che ricordo fortissima in mia nonna, che le cose che si hanno in mente debbano essere realizzate subito. Non abbiamo tutto il tempo del mondo, il nostro tempo è adesso”.
Ma la scintilla è stata la vicenda di Rachele, giovane mamma malata di cancro, vicina di casa di Calabresi e protagonista della prima storia del libro, che gli chiede aiuto per scrivere le proprie memorie, da lasciare ai figli. “Voleva che loro capissero quanto è preziosa e bella la quotidianità delle nostre vite”, racconta Calabresi. “È allora che mi sono chiesto che cosa io vorrei trasmettere. E ho capito che, per me, la cosa più importante di tutte le nostre vite è scegliere: sono le nostre scelte che danno il senso a tutto. Da lì il filo conduttore di tutte le storie che ho voluto inserire in questo libro”.
Del giornalismo e dell’arte di raccontare storie
Le storie sono la materia prima del giornalismo. In formato di notizie, si consumano velocemente e forse altrettanto velocemente rischiano di essere dimenticate. Forse ancor di più oggi, quando quelle scritte su carta stampata vengono lette da sempre meno persone.
In molti si chiedono se quello del giornalista sarà un mestiere destinato a finire. Mario Calabresi, che si definisce ottimista per ‘convenienza’, è convinto di no. “Finchè ci sarà il racconto delle storie il giornalismo non potrà morire”, rivendica. “L’errore è pensare che questo mestiere sia da identificare con la carta stampata: il giornalismo in altre forme, oggi, è pieno di vita”.
Probabilmente è per questo che, dopo aver diretto importantissimi quotidiani nazionali, Mario Calabresi si è lanciato nel progetto di una newsletter online, ‘Altre Storie’, e in quello di una società di produzione di podcast, “Chora”.
“Una cosa che ho imparato quando sono uscito dal mondo dei quotidiani è la pazienza, il fatto di prendermi il tempo necessario per seguire le storie che mi interessano”, racconta.
Alcune di queste hanno bisogno di tempo per maturare ed emergere, come quella del ‘profugo afghano’ che impiega un anno e oltre 20 interviste per riuscire a raccontare tutta la sua storia.
Altre bisogna avere il coraggio di andarle a prendere a casa delle persone, come quella di Laura Tangorra, che chiude il libro e la serata. L’ultimo capitolo è infatti scritto (con gli occhi) da Laura stessa e al termine dell’incontro viene letto dall’attrice Lucia Vasini, suscitando grande commozione in sala.
Se è vero che i narratori di storie hanno bisogno di lettori e ascoltatori, di certo la lunga fila di persone che si fermano all’uscita della sala, in attesa di farsi firmare una copia del libro, dimostra che al pubblico monzese non mancano di certo la curiosità e la voglia di cultura.