di Mattia Gelosa
Celebriamo oggi l’anniversario della nascita del regista romano Mario Monicelli, nato nel 1915 e scomparso nel 2010 quando, ormai devastato da un cancro alla prostata in fase terminale, si gettò dalla finestra dell’ospedale di San Giovanni a Roma.
Monicelli, autore di fama internazionale e vincitore di diversi premi, è stato con Comencini e Risi una delle punte di diamante del genere della commedia all’italiana e si è sempre distinto per un velo di malinconia e di pietà verso i più deboli che traspariva da queste sue pellicole, dato anche dalla sua ideologia socialista.
Nel 1958 inventa praticamente il genere grazie al capolavoro I soliti ignoti, candidato all’oscar come miglior film straniero: un gruppo di uomini ridotti in miseria dalla vita cerca riscatto con un tentativo di rapina a una banca. Il colpo va male perchè bucano il muro sbagliato e finiscono in una cucina anziché nella banca, ma la pasta e ceci che riescono a rubare è per loro così buona che sono comunque soddisfatti del colpo. Ironia amara e pungente, un trattato sulla società italiana e sulle sue difficoltà pieno di compassione, un film straordinario, I soliti ignoti è davvero uno dei migliori esiti del cinema italiano. Si supera con quest’opera il neorealismo poiché il cast ora è di grande livello, con Totò, Mastroianni, Gassmann e Salvatori, la storia si fa delineata su una solida sceneggiatura e si punta sulla risata intelligente che si stacca dall’ambiente dei personaggi- maschera di derivazione teatrale. Si tratta anche di una delle prime commedie italiane in cui muore uno dei protagonisti, segno che Monicelli è pronto a sfatare ogni tabù, anche i più piccoli, per creare un cinema nuovo.
Il misero bottino del colpo fallito ne I soliti ignoti
Nel 1959 replica il successo e la candidatura all’oscar con La grande guerra, premiata anche col Leone d’oro a Venezia in ex aequo con Il generale Della Rovere di Rossellini.
Anche in questo caso, commedia e denuncia si sposano alla perfezione in un lavoro che mescola anche diversi momenti tragici, inevitabilmente inseriti dato il contesto in cui si svolge la vicenda, cioè la trincea della Prima Guerra Mondiale. Ancora Monicelli si avvale dell’immenso Gassmann, stavolta spalleggiato da un altro gigante italiano, Alberto Sordi.
Nel 1966 con L’armata Brancaleone racconta il celebre episodio storico che vuole il rampollo Brancaleone da Norcia partire con dei compaesani alla conquista di un feudo pugliese. Monicelli toglie la patina di eroismo che spesso viene data dalla Storia agli eventi e racconta di quello che forse fu davvero l’esercito di Brancaleone, un gruppo di contadini e pezzenti armati solo di buona volontà.
Pochi hanno saputo raccontare la fine delle illusioni degli anni Settanta, quando il boom si attenuava e gli italiani scoprivano una vita priva di speranze e possibilità di riscatto, ma anche stavolta il regista romano occupa uno di questi posti grazie all’indimenticato Amici miei, che ha reso celebre la cosiddetta “supercazzola”. La vita di quattro amici fiorentini sembra scorrere tra il divertimento e le risate provocate dal gusto di continui scherzi fatti a persone qualunque, ma avanzando nel film si scopre che dietro questa facciata abbiamo esistenze che ormai appartengono a persone che non trovano uno scopo alle loro esistenze.
Un mix di alcune scene da Amici miei
Nel 1982 vince l’Orso d’Argento a Berlino per la regia de Il marchese del Grillo, che riprende il tema degli scherzi e mette in mostra il talento di Alberto Sordi, uno degli attori simbolo del cinema di Monicelli.
Per finire questo riassunto di carriera, citiamo ancora Parenti serpenti del 1992, opera che ebbe poco successo in sala, ma fu poi rivalutata.
In questo film Monicelli smonta il buonismo del cinema italiano legato alla famiglia, portando sullo schermo la vicenda di una reunion fra anziani genitori, figli e nipoti durante le vacanze di Natale.
In questo clima di festa si mangia e ci si diverte, ma se in una commedia qualunque avremmo avuto litigate poi andate a lieto fine, stavolta l’ipocrisia dei rapporti parentali viene messa alla berlina con lucido cinismo quando la coppia di anziani chiede ospitalità a casa di uno dei figli. Sorrisi e accondiscendenza davanti ai due si trasformano in invettive e sferzate di acidità fra i figli riuniti in disparte.
Anche stavolta si ride, con intelligenza, ma anche con il consueto tocco di nero e di amaro che fanno le opere del regista scomparso dei capolavori dell’agrodolce.
Nella sua lunga carriera, il maestro del cinema avrà, in tutto, sei nomination all’oscar, un Leone d’oro a Venezia e il Leone alla Carriera, quattro premi come miglior regista al Festival di Berlino e svariati riconoscimenti in tutto il mondo.