di Carlo Rolle
“Massa e potere” di Elias Canetti (1905 – 1994) uscì per la prima volta nel 1960. Adelphi ne pubblicò l’edizione italiana nel 1981, l’anno in cui l’autore vinse il premio Nobel per la letteratura. Adelphi pubblicò in seguito molti altri libri di Canetti, tra cui la sua autobiografia, in tre volumi, nella quale si compendia gran parte della storia europea del XX secolo.
Canetti e l’enigma delle masse
Elias Canetti era nato nel 1905 a Rutschuck in Bulgaria da una famiglia ebraica di origine spagnola. Una tragedia colpì presto la famiglia: il padre di Elias morì ancor giovane per un infarto avuto dopo una lite con la moglie, nata da un comportamento di lei, che aveva dato adito ad una crisi di gelosia.
Questa disgrazia irreparabile, avvenuta quando Elias aveva 12 anni, raffreddò i rapporti della madre con i suoceri e la condusse a partire e a vivere poi con i figli una vita quasi itinerante. Si trasferì prima a Vienna, poi a Zurigo, poi a Francoforte. Qui, nel 1922, Elias restò impressionato dalle manifestazioni di protesta per l’assassinio di Walther Rathenau, il ministro degli esteri della Repubblica di Weimar. Il diciassettenne Canetti notò allora che la massa esercita una misteriosa attrazione sugli uomini, in qualche modo simile alla forza gravitazionale.
In seguito Elias tornò a vivere a Vienna, dove si verificò, nel luglio del 1927, un evento sconvolgente al quale assistette di persona. Qualche mese prima, tre estremisti di destra avevano aperto il fuoco contro un gruppo di ispirazione socialdemocratica, uccidendo un uomo, un bambino e ferendo altre persone. I tre vennero sottoposti a processo a Vienna, ma questo si risolse con tre assoluzioni per legittima difesa. La sentenza provocò un’ondata di indignazione e la proclamazione di uno sciopero generale.
Così, il 15 luglio del 1927, una grande dimostrazione ebbe luogo a Vienna; dopo essersi avvicinata al Parlamento, al quale fu impedito l’accesso, la folla si diresse al Palazzo di Giustizia. Qui vennero infranti i vetri delle finestre, distrutti i mobili, appiccato fuoco agli incartamenti, sicché un incendio divampò nell’edificio. Quando i pompieri intervennero, alcuni dimostranti tagliarono le canne degli idranti.
Dopo qualche esitazione, il capo della polizia di Vienna fece distribuire dei fucili ai suoi uomini e ordinò di sparare. Fu una strage: 89 morti. Le sue immagini perseguitarono Canetti che, a trentotto anni di distanza dall’esperienza di Francoforte, pubblicò questo libro di oltre seicento pagine. La lunga gestazione dell’opera fa intuire quante letture e riflessioni confluirono in “Massa e potere”.
Copertina dell’edizione Adelphi e suo significato
Come descrivere, amici lettori, un’opera così complessa e difficilmente classificabile? La stessa quantità delle cose che vorrei scrivere mi opprime e mi ostacola.
Comincerò questa recensione da un appiglio concreto: l’immagine di copertina. Essa raffigura la parte superiore di un quadro di Ingres: “Il sogno di Ossian”. Ossian è un immaginario bardo dell’antica Irlanda, del quale lo scrittore preromantico James MacPherson finse di aver tradotto le composizioni poetiche. L’illustrazione mostra gli antichi eroi sognati da Ossian.
In un’intervista del 2013 (che troverete su YouTube) Roberto Calasso, per molti decenni alla guida di Adelphi, raccontò del momento in cui consegnò a Canetti l’edizione italiana appena stampata di “Massa e potere”. Racconta Calasso: “Canetti guardò la copertina e disse che nessun’altra casa editrice avrebbe saputo fare una copertina così. Forse molti lettori crederanno che si parli di sociologia, di questioni di masse, ecc. No, la prima massa in questo libro sono i morti; e questo Canetti lo vide riconosciuto nella copertina”.
Questa citazione mi è utile per dire che il contenuto di questo libro è inscindibile dalla forza mitopoietica della scrittura di Canetti: è quasi impossibile iniziare il libro senza restarne avvinti.
Il comportamento della massa non è riconducibile ad una somma di comportamenti individuali
Canetti parte dall’osservazione che, in una massa, l’uomo tiene comportamenti strani, a cominciare dall’accettare, e anzi dal ricercare, una prossimità o persino un contatto fisico che sarebbero impensabili in altri contesti. La gente che si accalca su un autobus in un’ora di punta non è una massa: in quelle circostanze ogni contatto fisico infastidisce e si cerca di evitarlo. Per contro in una dimostrazione, per esempio, la gente non teme di compattarsi di fronte a qualcuno o a qualcosa. Una massa esprime comportamenti che non sono semplice agglomerazione di comportamenti individuali; essa va dunque esaminata in sé.
Canetti inizia dunque un’analisi dei comportamenti di questa entità, la massa, quasi come se essi fossero quelli di una creatura viva, o almeno di una forza spettrale, che agisce sui corpi e sulle menti dei suoi appartenenti, come un demone sui suoi posseduti. Ma la massa di cui parla questo libro non è solo quella dei tumulti di piazza; Canetti usa questo termine anche per descrivere altre comunità strettamente legate: chiese, sette, folle che riempiono gli stadi, partecipanti a riti collettivi.
Tipi di masse, gruppi che le coagulano, miti e simboli
Inoltre, l’autore non esamina soltanto le masse reali che irrompono nella Storia, ma anche quelle che egli chiama ‘masse invisibili’, create cioè dall’immaginazione degli uomini e che condizionano comunque il loro comportamento: la massa dei defunti, quella dei demoni, quella degli angeli, dei santi e dei beati, quella dei posteri, ecc.
Canetti propone una sua terminologia per descrivere i vari tipi di massa, che può essere per esempio aperta o chiusa, statica o ritmica, lenta o rapida, ecc. E crea altre definizioni per designare gli stati di alterazione che la massa subisce nel suo raccogliersi, nello scatenarsi e nel fuggire. Essi corrispondono spesso a stati di alterazione psicologica dei partecipanti.
L’autore esamina poi i gruppi intorno ai quali si coagula una massa e che la guidano, e i simboli che furono utilizzati nella storia e dalle religioni come metafore della massa: il fuoco, il mare, la foresta, il grano, ecc. Un’intera tassonomia viene creata ex novo in questo libro. È una tassonomia che le discipline accademiche non avrebbero in seguito utilizzato, ma che costituisce, per l’avvincente scrittura di Canetti, una lettura di grande suggestione.
Un libro in cui confluiscono materiali eterogenei di grande interesse
Ma la particolarità più notevole di questo libro è la vastità e l’eterogeneità dei materiali di cui l’autore si è servito. Classici di tutte le lingue e di tutte le epoche, insieme ad opere poco conosciute e a studi nei campi della psicologia, della psichiatria, dell’antropologia, dell’etnologia e della storia delle religioni, alimentano questo libro unico, che è – come scrisse Calasso – “costellato di miti, spesso dissepolti con passione da opere dimenticate nell’oscurità delle biblioteche”.
Leggendo quest’opera, amici lettori, incontrerete presto vivide descrizioni di scene di isteria collettiva, di paranoia, di emozioni violentissime e di esplosioni di rabbia omicida, tratte da testimonianze di ogni epoca e paese. Questi resoconti vi condurranno in un percorso dove emergono forze misteriose, lungo il quale le strutture della realtà quotidiana rischiano di perdere solidità. La vastità degli orizzonti in cui si muove l’autore aumenta il fascino del libro, in cui (e cito ancora Calasso) “la muta dei cacciatori paleolitici convive e si intreccia per sempre con i dimostranti che incendiarono il Palazzo di Giustizia di Vienna”.
Massa e potere, una dicotomia perenne
Ma non solo della massa parla il libro. “La massa” – scrive sempre Calasso – “non può esistere se non come contrappeso, come cosmica paredra, di un’altra soverchiante entità: il potere. Alla proliferazione della massa, deve rispondere la tenebrosa solitudine del potente. Genghiz Khan e il folle presidente Schreber, il sultano di Delhi e Filippo Maria Visconti spiccano nel loro molteplice delirio sullo sfondo di masse di sudditi, di cadaveri, di allucinazioni.”
Il momento del sopravvivere è infatti anche quello dell’affermazione del potere: il guerriero che torreggia vittorioso sui nemici uccisi, il serial killer la cui fama cresce col numero delle vittime, il longevo che legge con segreta soddisfazione gli annunci della morte dei suoi coetanei, il tiranno che sopravvive ai caduti delle sue guerre o che si circonda di grandi spazi vuoti, come nei progetti urbanistici di Hitler, di Ceausescu o di Kim Il Sung.
Potere come sopravvivenza
“Il potere esige” – scrisse Claudio Magris commentando Canetti – “la solitudine e la sopravvivenza, quale illusoria garanzia o surrogato dell’immortalità e dell’invulnerabilità”. Così Ulisse, archetipo dell’eroe che restaura il proprio potere, torna da solo in patria, unico sopravvissuto all’ira di Poseidone. Persino il premio del paziente Giobbe presuppone il suo sopravvivere, pur nella miseria e nella malattia, alla moglie e ai figli, che egli sostituirà, una volta rientrato nelle grazie del Signore, con un’altra moglie e altri figli.
Canetti indaga il fascino perverso del potere, scoprendo dietro ogni suo gesto la seduzione della morte altrui. Sui campi di battaglia o nei rapporti della vita quotidiana, il potere sceglie soprattutto due vie, opposte ma complementari, per mistificare la propria essenza e vincere ogni resistenza: l’apoteosi e la dissimulazione.
Potere e morte
La glorificazione del potere – spiega sempre Magris nel suo saggio del ‘74 – non ne nasconde la realtà, anzi la mostra in tutto il suo orrore; ma di questo orrore si esalta e persuade gli altri ad esaltarsi. Le cronache degli antichi dominatori, da quella di Davide a quelle dei sovrani egizi, assiri o mongoli, registrano scrupolosamente le città distrutte e i popoli massacrati. Tucidide smaschera, per bocca dei propri concittadini ateniesi, la vanità dei patti di fronte al nudo peso della violenza: agli abitanti dell’isola di Melo, che resistono in nome della fedeltà giurata a Sparta, gli Ateniesi ricordano che gli dèi non aiutano chi non possiede la forza.
Altrettanto chiari appaiono nella Storia i resoconti dei patimenti dei sudditi; un grande condottiero non illude il suo popolo sulla facilità della vittoria. Spesso promette lacrime e sangue ai suoi seguaci, sapendo che il modo migliore per incitarli è quello di annunciare che molti di loro moriranno. Questa verità è più efficace della menzogna: essa non mira a negare, bensì a trasfigurare.
La storiografia antica, con la sua sequela di misfatti e tragedie, educava l’uomo a forgiarsi secondo una legge universale di sopraffazione e di morte, persuadendolo dell’inevitabilità e della grandezza di tale legge. La storiografia antica era spesso apologetica nei confronti del potere, perché credeva nel valore esemplare della Storia, la più colossale delle ecatombi.
Trasfigurazione della morte come strategia per il mantenimento del potere
Gli apologeti del potere sanno trasfigurare l’annientamento del singolo incolpevole nello splendore di una vittoria, i monotoni gesti dell’uccidere e del morire in un’apoteosi del vincitore e anche dello sconfitto, per il quale la morte in battaglia è l’unica alternativa possibile al lento declino di una vita oscura.
Dai duelli omerici, alle sontuose uniformi napoleoniche, alle cariche di cavalleria del western, alle parate che ancora oggi si stagliano contro scenari monumentali, il potere avvolge di un cupo splendore la propria essenza, che è quella della morte. Un libro inquietante, amici lettori, un libro che non si dimentica.
Per chi fosse eventualmente interessato, ecco i link alle precedenti recensioni:
– 1) “Storie e leggende napoletane”, di Benedetto Croce;
– 2) “Il monaco nero in grigio dentro Varennes”, di Georges Dumézil;
– 3) “I Vangeli Gnostici”, a cura di Luigi Moraldi;
– 4) “La Cripta dei Cappuccini”, di Joseph Roth;
– 5) “Fuga da Bisanzio”, di Iosif Brodskij;
– 6) “Andrea” o “I ricongiunti”, di Hugo von Hofmannsthal;
– 7) “Lo stampo”, di Thomas Edward Lawrence;
– 8) “Un altro tempo”, di Wystan Hugh Auden;
– 9) “Fuga senza fine. Una storia vera”, di Joseph Roth;