La storia del “materassaio” Alberto inizia da lontano. Era il 1974 e suo padre, operaio all’Incisa, decise di abbandonare il lavoro di fabbrica per avvivare un’attività autonoma: la richiesta di materassi cresceva di giorno in giorno e la decisione, dopo qualche anno di titubanze e di gavetta come tapezziere, arrivò. Si mise in proprio creando la storica officina di materassi a Lissone che, ad oggi, rimane l’unica a produrre esemplari in lana, sfidando qualsiasi concorrenza di mercato.
Un mestiere d’artigiano che negli anni è andato modificandosi tanto che Alberto ricorda, con una sottile vena di nostalgia, i tempi in cui il materassaio, col triciclo carico di due cavalletti, di un asse, della macchinetta per cardare, a cui si aggiungeva una borsetta di pelle per custodire aghi, forbici e metro, si recava nei cortili di ringhiera e creava sul posto quella piccola officina che veniva di volta in volta smantellata in base alla corte da cui provenivano le richieste.
Alberto, insieme al fratello, sin dai primi anni di attività, decise di affiancare il padre. Aveva 15 anni e, per tutti gli anni ’70, si arrivava a produrre fino a sei materassi in un solo giorno. I tempi sono cambiati, certo. Ma la manualità e l’accuratezza con cui vengono prodotti i materassi non sembrano essere cambiate.
Si respira aria di lavoro arrangiato con le antiche maniere, quando Alberto inizia a entrare nello specifico dell’arte del materassaio. Così, fase dopo fase, inizia a raccontare qual è il lavoro vero e proprio di un “antico materassaio”. Si inizia al primo step con la riempitura, la fase più difficile.
Dopo la cardatura e il recupero di 12/13 kg di lana, la cui varietà più pregiata giunge dall’Inghilterra, si “apre la bocca”, ovvero si strappa una parte della fodera per iniziare con l’insaccamento della lana stessa, partendo generalmente da un angolo.
Con pazienza, e costanti movimenti ripetitivi, si riempie la prima metà per poi ripetere lo stesso lavoro dall’angolo apposto rispetto a quello precedentemente utilizzato.
La riempitura è una fase delicata e, soprattutto, molto personalizzata in quanto varia dall’età e dal peso della persona che, a lavori terminati, usufruirà quotidianamente del materasso. La facilità con cui si possono commettere errori, inoltre, è abbastanza elevata.
Una gobba o uno spazio vuoto, infatti, possono compromettere la buona riuscita del materasso. Completata questa fase, ricucita la “bocca”, si passa alla trapuntatura che, ancora oggi, viene realizzata con l’uso di aghi lunghi circa 30 cm. Il filo, in un primo momento, viene fissato con un nodo scorsoio in 7 punti sulla lunghezza del materasso, in 2 punti sulla larghezza ed infine in 6 punti centrali.
Successivamente, il bordo, dopo essere stato reso omogeneo tramite la punzonatura, viene ridefinito con una cucitura a vista detta francesatura. Fissati e abbelliti con un fiocchetto di cotone tutti i nodi della trapunta, il prodotto finale è pronto per la vendita e il tuffo in uno dei pochi mestieri del passato sopravvissuto all’uragano dell’automazione termina così: con un materasso che profuma di antico.
Alberto Arosio
Via Parini 31 Lissone
Camilla Mantegazza
Ringrazio le giornaliste Giovanna Monguzzi e Stefania Sangalli per la bella intervista con servizio fotografico a mio marito Alberto ….uno dei pochi materassai rimasti e che tenacemente continua il suo lavoro in una società ormai che dorme su materassi di plastica consigliati da una martellante pubblicità televisiva …Grazie