di Francesca Radaelli
C’è da avere paura? È la domanda che a volte sorge spontanea di fronte ai lineamenti ‘diversi’ dei giovani che vediamo camminare nelle nostre città, che sentiamo parlare tra loro, o al telefono, in lingue sconosciute. Di fronte, soprattutto, agli allarmi veicolati da alcuni mass media. ‘Storie vere. C’è da avere paura?’ è il titolo del convegno che si è svolto nella serata dello scorso venerdì 20 gennaio a Villasanta,
in una sala di Villa Camperio, riempita dai cittadini di numerosi comuni del territorio brianzolo e anche dalla presenza di alcuni migranti ospitati sul territorio. Organizzatore e promotore del convegno, che si inserisce in un ciclo di incontri dal titolo ‘Dobbiamo accogliere?’ è RTI Bonvena, ente che si occupa dell’accoglienza dei richiedenti asilo su territorio brianzolo, insieme ad Aeris Cooperativa Sociale e i comuni di Camparada, Lesmo, Villasanta, Arcore, Carnate e Usmate Velate.
La serata, moderata dal giornalista Daniele Biella, presidente del progetto ‘Con altri occhi’ di Aeris soc. coop, parte proprio da una storia vera, quella di Dawood Yousefi, rifugiato arrivato dall’Afghanistan oltre 13 anni fa, che oggi è mediatore culturale per la Comunità di Sant’Egidio. La storia di un viaggio lungo e accidentato, iniziato a 17 anni, che lo ha portato a 18 a giungere a Roma dopo essere passato in Iran, Turchia, Grecia, spesso grazie a trafficanti senza scrupoli. “La mia è una storia di integrazione riuscita”, sottolinea in perfetto italiano, con un lieve accento romano. “E voglio sottolineare l’importanza dell’apprendimento della lingua italiana nel mio percorso. È davvero una chiave decisiva per aprire le porte, per trovare lavoro, per ambientarsi. I corsi di italiano dovrebbero diventare obbligatori per tutti i richiedenti asilo”.
Ora per Sant’Egidio Dawood si occupa del progetto dei corridoi umanitari, promosso dall’ente insieme alle chiese evangeliche e valdesi, e da qualche settimana anche insieme alla Chiesa cattolica. Un progetto che, evidenzia, “consente di controllare con sicurezza chi entra in Italia rilasciando il visto nel paese di origine e di garantire un percorso al riparo dai trafficanti a chi ha diritto di chiedere asilo. Per di più, allo Stato non costa nulla”.
Come funziona oggi il sistema di accoglienza in Italia lo ha spiegato Carlo Cominelli, presidente della cooperativa K-Pax di Brescia, promotrice di un modello di gestione dei richiedenti asilo è considerato uno dei migliori a livello nazionale. “Il problema”, dice Cominelli, “è che l’intero tema della migrazione è stato compreso dalla legge italiana nelle richieste di asilo. Questo perché attualmente la legge sull’immigrazione è bloccata: in poche parole, in Italia non si può migrare ma solo richiedere asilo”. E i richiedenti asilo vengono attualmente gestiti con due modalità, il sistema di accoglienza dello Sprar, progetto del ministero dell’interno che prevede l’intervento dei comuni, e il sistema di emergenza in capo alle prefetture e incentrato sui Cas (centri di accoglienza straordinaria).
“Attualmente le principali problematiche nella gestione delle richieste di asilo sono i tempi burocratici”, rileva Cominielli. “Problema che potrebbe facilmente essere risolto aumentando il numero delle commissioni incaricate di esaminare le domande di asilo e permesso di soggiorno. Oppure facendo in modo che il permesso venga rilasciato dalle ambasciate presenti nel paese di provenienza, un po’ come accade nel progetto dei corridoi umanitari. Perché non lo si fa?”.
Cristina Romanelli di Aeris coop sociale ha invece illustrato come funziona il sistema di accoglienza attuato dall’ente sul territorio brianzolo, all’interno del sistema RTI Bonvena, che attualmente gestisce circa 1100 migranti, sistemati all’interno di 120 appartamenti in provincia di Monza e Brianza. “Anche nella gestione dei migranti assegnati dalla prefettura, abbiamo cercato di creare un modello il più possibile simile a quello dello Sprar, promuovendo un’accoglienza diffusa sul territorio”, ha spiegato.
E sui 35 euro al giorno stanziati per ogni migrante inserito nel sistema di accoglienza, la precisazione è d’obbligo: “Innanzitutto nei progetti Sprar il sistema è basato sulla rendicontazione, quindi lucrare è molto difficile. Poi bisogna dire che solo 2,5 euro vengono dati direttamente alla persona come pocket money per le piccole spese personali, gli altri, tolti i fondi per il vitto, servono per pagare la gestione del progetto e gli stipendi dei lavoratori della cooperativa. Perché un progetto d’accoglienza come il nostro dà lavoro al territorio, malgrado alcuni ostacoli burocratici che a volte ci rallentano molto. Infine noi destiniamo 1 euro dei 35 al fondo Hope, istituito da RTI Bonvena, che serve per finanziare corsi di italiano, corsi di avviamento professionale e tutto ciò che non è esplicitamente richiesto dalla prefettura ma che ha un ruolo decisivo nell’integrazione dei migranti sul territorio”.
Insomma, un esempio positivo di accoglienza sul territorio brianzolo, che si contrappone decisamente alle violazioni eclatanti emerse altrove (per esempio nelle inchieste su Mafia Capitale).
Certo, non mancano le difficoltà. Come quando, racconta Carlo Cominelli, ci si rende conto che i ragazzi vengono in Italia pensando di trovare ‘un’America’ che non esiste: “Hanno il sogno di diventare calciatori o artisti, devono scontrarsi con un Paese pieno di problemi e trovare la loro strada, nella realtà”. La sfida è tirare fuori le competenze che le persone hanno dentro di sé, lavorare sulle individualità. Secondo modalità non diverse da quanto si fa con gli adolescenti italiani coinvolti in percorsi formativi.
E i primi risultati cominciano ad arrivare, per esempio nelle esperienze di auto imprenditoria avviate in diversi territori e nei settori più disparati: “Per esempio in Valtellina, in cui grazie a un gruppo di migranti è stata rilanciata la produzione di vino locale”, racconta Cominelli.
Decisive anche le associazioni del territorio, dagli scout all’Auser, che prendono la parola dalla platea per raccontare i progetti di volontariato e relazione avviati insieme ai richiedenti asilo ospitati a Villasanta, Monza e altri comuni.
E se da alcuni interventi in platea emerge ancora parecchia diffidenza, Cristina di Aeris risponde alla domanda iniziale “C’è da avere paura?” raccontando di un aperitivo organizzato dai migranti ospiti di un appartamento di Vimercate per conoscere i propri nuovi vicini di casa. E tante altre iniziative di conoscenza reciproca sono sorte sul territorio, spesso avviate spontaneamente da associazioni, parrocchie, piccoli gruppi.
Forse è proprio conoscersi il modo giusto per superare diffidenza e paura.
Prossimo appuntamento: giovedì 2 febbraio ad Arcore (Scuderie di Villa Borromeo, Largo Vela), con l’ultimo incontro del ciclo “Dobbiamo accogliere?”, dal titolo: “I cittadini. Si può gestire (da protagonisti) l’immigrazione?”