di Fabrizio Annaro e di Enzo Biffi
Ci siamo dimenticati di tante cose e così i giovani e giovanissimi del nostro bel paese si sono persi (è noto: a scuola non si studiano le vicende presenti e tanto meno quelle recenti) un pezzo di storia che farà sicuramente incuriosire storici e politologi delle prossime generazioni. La vicenda è nata da Marco Pannella leader dei radicali che molti considerano “voce e coscienza” della politica italiana. Oltre a Panella ci sono i media, ma soprattutto la televisione, ad essere protagonisti di questo pezzo di storia.
L’onorevole Ilona Staller (di Fabrizio Annaro)
Al centro di questa vicenda due donne, molto discusse, ma che hanno lasciato un segno. Si tratta di due porno dive, così almeno loro si sono definite, Moana Pozzi, mancata a soli 33 anni e Ilona Staller, star ungherese, trasferita, quest’ultima, per volere di Pannella, dal palcoscenico del teatro a quello della politica. Ilona nel 1987 è candidata nelle liste radicali e, grazie a quasi 20 mila preferenze, varca la soglia di Montecitorio per sedere fra i banchi dei parlamentari. Ilona diventa l’onorevole Staller.
Ebbene chi scrive ritiene che queste due storie abbiano qualcosa di particolare e al tempo stesso di imbarazzante per la politica e la storia della televisione italiana. Ritengo che Pannella quando decise di portare Ilona Staller in Parlamento lo fece per culto della libertà, così come, con lo stesso spirito, portò Tony Negri, (il professore dell’Università di Padova, accusato di essere l’ideologo del terrorismo e della violenza di estrema sinistra) a sedere fra onorevoli e leader politici.
Non solo. In Pannella, forse senza piena consapevolezza, c’era il desiderio di offrirci non solo una grande provocazione, ma l’occasione per riflettere sul costume e sulla natura di alcuni aspetti della politica italiana, una natura che si palesava, e forse si palesa ancora, con parecchie distorsioni e perversioni, più volte denunciate da intellettuali come Pier Paolo Pasolini e da tanti cittadini italiani che amavano ed amano la giustizia e l’onestà. Oppure, semplicemente, Pannella realizzò una mera operazione di marketing politico.
Il tutto sembra rappresentare un’anticipazione di ciò che accadrà negli anni successivi: il trionfo della leggerezza, della superficialità, la Milano da bere, la politica spettacolo, la decandenza morale, l’indifferenza dei nostri tempi di fronte a scandali e a fatti di corruzione.
Su Ilona Staller mi fermo qui per lasciare a voi il commento finale sul resto della storia.
Moana Pozzi: la star (di Enzo Biffi)
Alla signora Giulia (nome di fantasia) e suo marito Rocco (nome di goliardia) quel pomeriggio di domenica degli anni ottanta deve essere sembrato normale e po’ noioso fino a quando, sul catodico schermo a colori, non apparve il Pippo nazionale, vispo come un galletto, annunciando l’ospite da intervistare.
Semi avvolta e semi scoperta da un abito rosso fuoco, con scollatura palesante la professione, Moana Pozzi , si può ben dire, riempì lo studio. A quel punto sia Giulia che Rocco avrebbero avuto, a vario titolo, il sonnoso pomeriggio risolto. Moana aveva fra gli altri, anche il potere di unire e dividere le coppie. Alle donne appariva come la portabandiera di una libertà estrema di esercizio del proprio corpo, agli uomini dava l’alibi di una difesa basata anch’essa sulla indubbia intelligenza che possedeva. Autoironia, spregiudicatezza e disincanto. Con Moana, insomma, l’interesse familiare e nazionale e popolare era garantito.
In quelle sdoganate interviste di una televisione che fingeva un processo di emancipazione dai tabù sul sesso ancora lontano da venire, (lo aspettiamo ancora) Pippo Baudo, dirigenti, Marzulli vari e perfino la signora Giulia, tranquillizzati dalla indubbia intelligenza di Moana, sentivano di fare cosa giusta. Gli anni ottanta avevano forse bisogno di svecchiare i simboli dell’impegno. (questa è ironia, per chi non l’avesse inteso).
Moana venne quindi trasformata dai media, non solo in un’icona dell’erotismo ma anche una donna da ammirare per il suo coraggio e la sua spregiudicatezza morale ed intellettuale, tanto da farne paradossalmente, quasi il simbolo di un nuovo modello di femminismo.
Alla signora Giulia e a suo marito però veniva puntualmente omesso il lavoro vero di Moana. Quella professione di cui si argomentava ipocritamente nei salotti televisivi e che con tanto intelligente eloquio Moana difendeva, in fondo non appariva mai.
Al signor Rocco, infatti, avrebbe ben fatto piacere osservare almeno un trailer di qualche produzione, come del resto è buon uso fare per ogni attore che si rispetti. Dopotutto erano gli anni di Rambo e Top Gun dove guerra, violenza e sangue non fermavano certo la messa in onda di qualche spezzone di film.
Il fatto è che Moana accendeva molte luci su di se, tanto da far finire in un enorme cono d’ombra tutto ciò che nel suo mondo gli si muoveva intorno e questo risultava certo molto funzionale sia al perbenismo televisivo che al business del porno che in quegli anni proliferava.
Alla signora Giulia non poteva sfuggire la vivacità intellettuale della giovane donna di buona famiglia quando, argomentando amabilmente, spiegava al mondo di quanto fosse libera e consapevole la scelta di quel lavoro. Il non detto restava però il contesto dentro il quale quel lavoro si svolgeva: per una Moana consapevole quante non Moana subivano scelte altrui, e ancora: come ne usciva il “corpo donna” da quelle rappresentazioni solo macho-centriche?
Fatte le debite proporzioni sarebbe come non ammettere la responsabilità di qualche bravo ingegnere che, rigoroso e appassionato progettista di ponti, fingesse di non sapere della manovalanza schiavizzata utile al nobile scopo di costruirne o del pessimo materiale utilizzato per risparmiare.
La parabola triste di Moana contribuisce a crearne il mito cristallizzandone l’immagine ma, senza timore di esser tacciato di perbenismo, mi vien da dire che la sua vicenda non è servita a niente e la sua eredità è pari al suo magnifico corpo: molta forma a coprire un piccolo contenuto.
A sdoganare il sesso in tutte le forme che la fantasia, anche distorta, produce, ci ha poi pensato la tecnologia rendendo accessibile a chiunque la visione e la produzione di tutto ciò che si vuole, togliendo pure, se così si può dire, quel poco di livello “professionale” alle immagini.
Moana è passata su questo pianeta come una stella cadente più che come una cometa. Luminosa sì, ma senza indicare alcuna via. Non è riuscita a nobilitare un mondo di eccesso e bulimia perché nulla c’è di nobile nell’eccesso. La trasgressione è costruttiva quando non è volgare, quando è gratuita e senza scopo alcuno che non la liberazione da una schiavitù.
Ma ieri come oggi, qualche volta il rischio di passare per moralisti ci induce ad accettare di apparire immorali. Così l’eredità vera di Moana, mi piace pensare che sia nel significato del suo strano nome polinesiano: “il posto dove il mare è più profondo” augurandomi che ciascuno trovi dove vuole la propria profondità.
Il finale dell”intervista di Marzullo a Moana Pozzi