di Virgina Villa
Se c’è una cosa interessante e utile che dovrebbero fare i giornalisti e, più in generale, i narratori di storie basate sulla realtà, è quella di osservare il fatto, documentarsi, ascoltare tutte le parti in causa ed utilizzare quel dato evento per far nascere una discussione costruttiva, che non si limiti a “dare la caccia al cattivo”, ma analizzi nel dettaglio cosa significa quello che è successo e cosa si potrebbe fare affinché non capiti più.
Questo è ciò a cui ho pensato dopo aver appreso del gesto deplorevole di Andrea Serrani nei confronti di Greta Beccaglia, l’inviata di Toscana Tv che stava commentando la partita di Empoli-Fiorentina del 27 novembre scorso.
I fatti
Sabato 27 novembre si è tenuta la partita Empoli-Fiorentina e, come è normale che sia, i programmi sportivi locali e non, inviano i propri giornalisti per commentare il post-partita. Nel caso di questa partita, il programma televisivo “A tutto gol”, in onda su Toscana Tv, ha inviato Greta Beccaglia che, mentre stava facendo il suo lavoro, ha subito le molestie di un tifoso, appena uscito dallo stadio in compagnia di alcuni amici.
L’uomo in questione, incurante delle telecamere, le ha palpato il fondoschiena, alimentando il gesto con una frase poco decorosa nei confronti dell’inviata. Il conduttore televisivo, Micheletti, ha reagito al gesto cercando di tranquillizzare Greta Beccaglia dicendole di non prendersela.
Da qui si è scatenato il polverone mediatico che non ha risparmiato nessuno. Il focus dei commenti si è incentrato sull’odio generalizzato; non si è preferito utilizzare questo fatto per una riflessione ad ampio respiro che portasse ad una conclusione senza il ricorso della rabbia, della forza e della denigrazione.
Fermo restando che quello del tifoso è stato un brutto gesto, sintomo di una dilagante mancanza di rispetto nei confronti delle donne e per questo motivo da condannare, questa storia ha tre aspetti importanti sui quali mi piacerebbe soffermarmi.
Il linciaggio su i social
Il gesto del tifoso ha suscitato la rabbia di molte persone. Per giorni, dopo il 27 novembre, i social sono stati intasati da commenti più o meno coloriti nei confronti dell’uomo che ha compiuto il brutto gesto nei confronti dell’inviata di Toscana Tv e anche la mia reazione, in quanto donna e mamma di una bambina, è stata forte ed emotiva.
E’ stato tralasciato, però, un punto di vitale importanza: la giustizia. I social hanno portato la maggior parte delle persone a ergersi a paladini della giustizia, a sostituirsi a giudici e magistrati nell’emettere la sentenza. Questo porta alla nascita di spiacevoli episodi di linciaggio che non giovano al colpevole e neppure alla parte offesa.
Dopo l’accaduto, il tifoso, si è visto costretto ad abbandonare temporaneamente la propria abitazione, insieme alla moglie e alla figlia, perchè continuava a ricevere pesanti minacce.
Ha ricevuto chiamate diffamatorie al ristorante che gestisce e sono comparse recensioni al suo locale non sulla qualità del cibo e del servizio, come è normale che sia trattandosi di un ristorante, ma contenenti commenti deplorevoli nei confronti del gestore.
Questi atteggiamenti da giustizieri non fanno bene, anzi! Concorrono a rendere tutto l’iter giudiziario ancora più difficile, senza tenere conto del male che viene fatto – indirettamente – anche alle persone vicine al colpevole, in questo caso, alla figlia e alla moglie.
La sospensione del conduttore Micheletti
Un altro aspetto interessante di questa storia è stata la sospensione del conduttore Micheletti il quale, dallo studio si è rivolto a Greta Beccaglia dicendo “Non te la prendere!”. Questa frase è stata letta come tentativo di minimizzare l’accaduto e normalizzare la molestie. Posto il fatto che è difficile per chiunque si trovi in una situazione del genere reagire in modo razionale e lucido, vale la pena soffermarsi sulla frase “Non te la prendere”, perchè è un sintomo di un atteggiamento sbagliato nei confronti delle violenze di genere che cerca di minimizzare l’accaduto, portando alla conseguente e pericolosa normalizzazione delle molestie.
Il conduttore aveva tra le mani un’occasione d’oro per lanciare un messaggio forte e fare qualcosa a favore della collega Beccaglia e, in generale, delle donne vittime di molestie; è stata un’occasione persa.
La riflessione della giornalista Donatella Di Paolo
Abbiamo avuto il piacere di dialogare con la giornalista e scrittrice Donatella Di Paolo in relazione all’episiodo che ha visto protagonista Greta Beccaglia e, più in generale, abbiamo riflettuto su cosa significa per una donna vivere in un contesto lavorativo maschilista e opprimente.
Nel suo libro, “Volevamo conquistare il cielo”, scritto con Laurenzo Ticca, Donatella Di Paolo racconta la sua esperienza di giornalista donna soggetta a continue “avance non gradite”, ossia molestie sul posto di lavoro. La giornalista dice una cosa molto forte: il lavoro non è fare la giornalista, ma sopravvivere; il vero lavoro è tenere a bada gli uomini. In un mondo in cui il potere è “maschio”, alcuni uomini si sentono legittimati a rendere la vita delle colleghe un inferno.
C’è poi la il problema della denuncia che, in moltissimi casi non può essere un’opzione da prendere in considerazione perché denunciare produce, nella maggior parte dei casi, due conseguenze: lasciare il posto di lavoro e non essere creduta.
Proprio su quest’ultimo punto si sofferma la giornalista Di Paolo per spiegare che spesso la vittima che denuncia non viene creduta perché crederle significherebbe ammettere la colpevolezza, ammettere che la figura maschile utilizza il proprio potere per sfruttare e sottomettere le donne; questo nella visione “machista” è inaccettabile e quindi si preferisce accusare la vittima di essere alla ricerca di visibilità.
Benvenga quindi che episodi come quello del 27 novembre che hanno visto coinvolta Greta Beccaglia, divengano casi: banalizzare non aiuta mai, ma solo la perseguibilità e la denuncia sono strumenti efficaci per creare un nuovo codice deontologico volto a garantire la giustizia.
Proviamo a riflettere
Cosa ci ha insegnato questa storia? Anzitutto, deve essere chiaro, che comportamenti come quello attuato dal tifoso sono oltraggiosi, umilianti e meschini e per questo devono essere condannati e perseguiti, soprattutto se teniamo in considerazione la libertà che certi uomini sentono di avere nel commettere atti molesti di fronte a tutti, facendo venire meno anche la componente della vergogna nel commetterli.
Ma questa storia ci insegna anche che nessuno è innocente; non siamo innocenti se per difendere una vittima commettiamo azioni violente e brutali nei confronti del colpevole.
Ed, infine, sarebbe bello che questo episodio potesse servire per ripensare il format di alcuni programmi sportivi (e non) al fine di valorizzare le donne per le loro reali capacità e non utilizzarle (fatta salva la professionalità di ognuna) come soubrette allo sbaraglio per allietare la vista degli ospiti della trasmissione.
Sono convinta che anche le esperienze e i fatti negativi abbiano del buono da insegnare. Sospendiamo il giudizio e sostituiamolo con la riflessione; potrebbero nascere cose meravigliose!