Nedo Fiano instancabile testimone dell’Olocausto

La Redazione

Oggi vogliamo ricordare Nedo Fiano, che è mancato sabato scorso, 19 dicembre, a Milano. Scampato allo sterminio di Auschwitz, Fiano è stato  uno dei più attivi testimoni dell’orrore dell’Olocausto e unico superstite di una famiglia di undici persone.  Fu liberato l’11 aprile 1945 dalle truppe americane nel campo di Buchenwald, dove era stato trasferito dai nazisti in fuga per l’arrivo dell’Armata Rossa.

Ha trascorso gran parte della sua vita a testimoniare, soprattutto tra i giovani, gli orrori dei campi di sterminio. Qui riportiamo una sua testimonianza tratta dalla tesina di uno studente presentata agli esami di III media.

“ … Quello che voglio dire ai giovani, è che sento di essermi misurato con dei problemi che sono stati talmente grandi, che a volte i problemi di ogni giorno che ci sembrano enormi, sono delle sciocchezze. Spesso perdiamo di vista i grandi ed irrinunciabili valori della vita. La vita è per tutti una grande prova di esame, accade anche di non riuscirci. Siamo arrivati a questo mondo, non per essere dei passivi, ma per essere anche nel nostro piccolo, nella nostra modestia, dei protagonisti”.

Nedo Fiano è sopravvissuto all’olocausto dopo la terribile esperienza di deportazione nei campi di sterminio nazisti. Ha raccolto i ricordi della sua famiglia e della sua esperienza nel libro “A 5405, il coraggio di vivere”. Ho avuto occasione di conoscerlo e di farmi raccontare la sua esperienza.

Uno sei suoi libri: «A5405. Il coraggio di vivere»

“Le leggi razziali sono stati provvedimenti terribili contro gli ebrei, perché hanno negato completamente la libertà. Ci siamo trovati improvvisamente emarginati, rifiutati ed esclusi da tutto, cittadini di serie B. Gli ebrei italiani nel 1938 non potevano avere la radio in ca­sa, né il telefono, né fare la villeggiatura al mare o in montagna, né entrare nelle biblioteche. Mio padre e mia madre furono cacciati dal lavoro, io e tanti ragazzi ebrei fummo cacciati dalla scuola, gli ebrei non potevano scrivere un libro, un articolo di giornale, non potevano insegnare o lavorare.

A Berlino, addirittura, gli ebrei non potevano camminare sui marciapiedi, ma dovevano camminare sulla strada. In sostanza gli ebrei furono cacciati dal vivere sociale. Provate a immaginare cosa significhi per un ragazzo come me, che allora aveva 13 anni, essere cacciato da dove era nato e cresciuto, in pratica essere considerato una pezza da piedi. Mi impedivano di vivere e quindi non avevo la possibilità di scegliere.

Questi provvedimenti ci caddero addosso come un macigno: non ci fu quella solidarietà che ci aspettavamo. Nel ‘43 siamo fuggiti di casa mio padre, mia madre, mia nonna ed io e abbiamo cercato rifugio un po’ dovunque, abbiamo battuto a mille porte.  

Avevo 18 anni quando sono stato arrestato e non avevo fatto nulla, non avevo assolutamente nessuna colpa, credevo nella vi­ta, credevo nella famiglia, nei genitori e nel mio futuro. Il 16 maggio ‘44 salii sul convoglio che portò me e la mia famiglia ad Auschwitz. Furono sette giorni terribili, stipati in un carro bestiame insieme ad altre 50-60 persone.  Non sapevamo cosa ci stesse succedendo. Quando siamo scesi dal treno, ci siamo guardati intorno, abbiamo visto le ciminiere e abbiamo creduto che fossero delle fabbriche, dove saremmo andati a lavorare per il grande Terzo Reich”.

Qui Nedo Fiano si è fermato, non si è sentito di raccontarmi dei campi di sterminio.

 

image_pdfVersione stampabile