Nikita Kruscev a capo dell’Unione Sovietica

di Giacomo Laviosa

Dopo la scomparsa di Stalin Nikita Kruscev, il più eminente fra i successori del despota georgiano e ormai chiaramente il leader del gruppo dirigente sovietico, fu indotto a promuovere dall’alto un processo di destalinizzazione. Il momento centrale di questo processo coincise con il XX congresso del pcus (14-25 febbraio 1956).

Qui Kruscev tenne due rapporti, uno pubblico e un altro segreto per i soli dirigenti. Nel primo rapporto di fatto ignorò Stalin e mise il partito all’insegna del ritorno al leninismo; affermò la parità fra i paesi del campo socialista; riabilitò la Jugoslavia paese ora fratello.
Si poteva lanciare una politica di coesistenza pacifica con i paesi capitalisti, migliorando le relazioni in tutti i campi.

Sul piano della strategia politica, sostenne che i partiti comunisti dei paesi occidentali, per giungere al potere, potevano evitare la guerra civile ed utilizzare gli strumenti della democrazia parlamentare.

Nel rapporto segreto Kruscev demolì la figura di Stalin attaccandone il culto della personalità; lo descrisse come un tiranno che coi suoi metodi terroristici aveva violato tutti i principi della legalità socialista.

Nel 1958, il 27 marzo, prende il posto di Bulganin in qualità di primo ministro dell’Unione Sovietica, diventando capo unico del partito e dello Stato.

L’era di Kruscev si distinse per la relativa liberalizzazione interna di carattere politico, per le riforme economiche e per il processo di distensione internazionale. Egli riteneva infatti che, liberata dalle forme brutali dell’oppressione staliniana, la società sovietica avrebbe espresso tutte le sue enormi potenzialità economiche.
Al XXII congresso del partito si abbandonò alle prospettive più sconcertanti annunciando che nel 1980 l’URSS avrebbe raggiunto il comunismo.

Anche la sua previsione che ben presto l’Unione Sovietica avrebbe superato gli Stati Uniti si palesò essenzialmente una mossa propagandistica ad uso interno al campo socialista e rimase senza alcuna concretezza.

Della figura istrionica e pugnace di Kruscev rimangono due episodi emblematici. Il primo coincide con un suo memorabile intervento all’assemblea dell’ ONU del 12 ottobre 1960. Per protesta contro le affermazioni del delegato filippino, che accusava l’URSS di “imperialismo” in Europa orientale Kruscev, dopo aver chiesto senza successo al presidente dell’Assemblea di richiamare il delegato filippino “all’ordine”, prima sbatte i pugni sul tavolo, poi addirittura una scarpa.

La seconda situazione è la discussione avvenuta il 24 luglio del 1959 con il vice presidente degli Stati Uniti Richard Nixon, inviato a Mosca a inaugurare l’Esposizione Nazionale Americana, una fiera espositiva di produttori americani ospitata quell’estate dal parco Sokolniki della capitale sovietica.

Nel corso della conversazione, i due parlano in pubblico dei rispettivi sistemi economici: da un lato l’economia pianificata, e dall’altro il capitalismo. Quel dialogo passa alla storia come “dibattito in cucina”, visto che si svolge nella cucina di una casa prefabbricata all’interno dell’esposizione.
Trovandosi in piena guerra fredda, fu uno scontro di civiltà come pochi altri prima e dopo. I vertici sovietici e americani infatti non si incontravano ufficialmente dalla conferenza di Ginevra del 1955.

Irritato da un recente pronunciamento del Congresso USA che condannava il comportamento dell’URSS nell’Europa dell’est (invasione dell’Ungheria nel 1956) passò al contrattacco, impostando un’improvvisata disputa con Nixon sullo stato delle rispettive economie nazionali.

«Questo è ciò di cui sono capaci gli americani?» chiese ironicamente Kruscev. «E da quanto esiste l’America? 300 anni? 150 anni d’indipendenza, e questo è il suo livello? Noi non abbiamo ancora 42 anni, e tra 7 anni saremo al livello degli Stati Uniti. E dopo andremo oltre. Passandovi di fianco, vi faremo “ciao”.»

La ruspante sicurezza e prontezza d’animo di Kruscev non vide mai avverarsi questa profezia ottimistica.
In seguito alla crisi dei missili a Cuba, la sua stella perderà velocemente smalto e verrà deposto da una cospirazione guidata dal capo del KGB Vladimir Semicastny, da Aleksandr Selepin e da Leonid Breznev.

Ritiratosi a Mosca come un semplice pensionato, rimane comunque nel comitato centrale fino al 1966.

Muore per un attacco di cuore l’11 settembre del 1971 a Mosca.

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