di Camilla Mantegazza
La Siria di Shady
Shady Hamadi, scrittore e attivista per la causa siriana. Nasce a Milano, nel 1988, originario di Homs. Esiliato dalla nascita, per le fantomatiche colpe del padre, figlio della dissidenza araba. Perseguitato politico, perché membro del Movimento Nazionalista Siriano.
Da sempre, decide di prendere posizione contro il regime di Assad, facendosi portatore della causa in Occidente. Pochi gli hanno creduto, quando cercava di documentare e diffondere l’esplosività della situazione della sua terra paterna. Sapeva che le micce accese in Siria avrebbero potuto trasformarsi in un disastroso incendio, così come, sapeva che nulla si sarebbe risolto in fumo. Il Parlamento Europeo non c’è stato, quando lui ha chiesto di poter essere ascoltato.
E così, tutte le istituzioni a cui più volte si è rivolto, negli anni, quando la sua terra non aveva ancora raggiunto livelli massimi di tensione. Poi l’iniziativa del fiocco nero alla borsa, per comunicare simbolicamente con i manifestanti e dire loro di continuare a sperare, che, “non abbiamo nessuno all’infuori di Dio” è solo uno slogan, perché qualcuno è con loro. Da questo momento, Shady ha deciso di portare avanti la sua guerra.
Una guerra contro chi tace, contro chi non ascolta, contro chi non informa, contro chi dimentica, contro chi “la Siria è lontana e non mi appartiene”. Una guerra contro chi analizza geopoliticamente la tragedia della Siria, studiando le varie parti, ma dimenticandosi il dramma della morte, delle violenze sui bambini, degli stupri sulle donne. Non è guerra civile quella che si consuma in Siria. Questa definizione implicherebbe porre sullo stesso piano vittime e carnefici, ma sarebbe profondamente ingiusto ed eticamente scorretto farlo.
Una guerra, infine, per la ricerca della concordia in Siria, come unico obiettivo. Intanto migliaia di morti, milioni di profughi. Una vita sospesa tra la drammaticità della Siria e l’immobilità dell’Italia. Il regime, intanto, cambia la storia della sua vita, così come l’ha cambiata a suo padre e, prima ancora, a suo nonno. Torna in Siria nel 2009, riscopre le sue origini alla ricerca dei suoi parenti, della terra di Homs, la città che ha dovuto versare il maggior tributo di sangue.
Conosciamo Shady Hamadi un martedì sera di dicembre, al Teatro Binario 7 di Monza, in occasione di una serata organizzata dall’UPF per l’anniversario della stesura della Dichiarazione Universale per i Diritti Umani. Lui è ospite e noi, pubblico ascoltante, siamo incantati dalla rabbia e dalla freddezza con cui ci dice che “il suo popolo è stato dimenticato”. Due parole, l’indirizzo mail scritto in copertina al suo libro “La felicità araba. Storia della mia famiglia e della rivoluzione araba” (Add Editore – pp.256 – 15 €), e una prontezza inaspettata della sua risposta.
Vogliamo capire cosa accadde là, in questa terra divisa da noi dal solo Mediterraneo. Sappiamo, ma non sappiamo. Capiamo, ma non capiamo.
L’attuale situazione si può esplicare tramite le seguenti cifre: 7 milioni tra profughi interni e rifugiati nei paesi limitrofi, 200 mila morti e una infanzia che si sta perdendo in questi 3 anni di repressione. Il regime siriano, al potere da 40 anni, ha represso le manifestazioni pacifiche iniziali dove molti siriani chiedevano dignità, libertà e uguali diritti.
Quando la repressione è cominciata parte di quei manifestanti si e’ armata per difendersi e da allora lo scontro è andato peggiorando. Oggi i siriani devono combattere contro il regime e il fondamentalismo islamico che ha interessi convergenti al regime ma l’opinione pubblica non ne e’ abbastanza consapevole. Lo stato islamico dell’Iraq e del Levante, formazione fondamentalista, sta combattendo, solamente, contro le forze della rivoluzione, conducendo una campagna di arresti contro gli attivisti.
C’è stata una speranza di pace avvolta tra i negoziati della II Conferenza di Ginevra. Una speranza vana, forse, con l’obiettivo di stabilire una qualche forma di governo provvisorio accettata sia dall’opposizione sia dai ribelli.
Il dialogo sembra impossibile, tanto quanto la ricerca di probabili e possibili soluzioni. Intanto la Conferenza, iniziata il 24 gennaio, sembra perdere il suo appeal mediatico, ed ogni giorno captare i vari round dei colloqui tra le parti e i mediatori risulta sempre più difficile. Cosa ostacola la buon riuscita dei negoziati?
La conferenza è stata fatta senza precondizioni, come la liberazione dei detenuti politici e il cessate dei bombardamenti aerei. Questo ha prodotto il risultato che fin dall’inizio la conferenza non sarebbe stata credibile; gli attori coinvolti non rappresentano davvero, sia da una parte sia dall’altra, regime e opposizione.
Una famiglia, la tua, che da sempre ha rappresentato questa opposizione. Tu, italo-siriano, come vivi questa tua duplice natura, diversa da quella di tuo padre e di tuo nonno, uomini che come te hanno tentato di contrastare il regime?
Mio nonno, per cambiare il nostro villaggio, si candidò a sindaco; mio padre per cambiare la Siria, entrò in un partito diventato sotto il Bath clandestino; io, da lontano, scrivo libri per dare voce ai siriani, mi sento il loro ambasciatore delle parole. Da italiano, conoscendo la storia di questo paese e la vivacità intellettuale del nostro popolo, mi rattrista vedere quanto poco, oggi, interessi quello che avviene sul Mediterraneo: avvilisce la mia parte siriana che chiede di essere ascoltata.
“Invito, rivolgendomi a voi tutti, a non dubitare del buon corso democratico della Siria ma a vigilare su qualsiasi entità che voglia segnare o dirottare il corso di un processo democratico che finalmente farà sbocciare i fiori della primavera anche in Siria. Ancor di più, lasciatemi passare quello che ora dirò visti i miei 23 anni e, quindi, la propensione naturale all’eccessivo ottimismo: dobbiamo muoverci tutti uniti sotto il segno della libertà senza interessi particolare nel far finire questa strage.
Don Milani insegnò ai suoi alunni due parole in inglese: “I care”, io mi interesso, interessiamoci tutti. Grazie del vostro prezioso ascolto e auspico che queste parole vengano raccolte e possano servire affinché la mia patria, l’Italia, tramite voi venga in aiuto della mia seconda patria, la Siria”. Tratto da “La felicità araba. Storia della mia famiglia e della rivoluzione araba”.