di Aldo Germani
Doveva essere il tuo primo ghiacciaio, il cielo blu da foto di copertina, il riverbero della neve e gli occhiali comprati apposta, il panorama mozzafiato, l’ebbrezza di una cima conquistata coi ramponi ai piedi. E invece il maltempo ha provato a rovinare tutto. Acqua in partenza di primo mattino, acqua sul sentiero per raggiungere il rifugio, acqua sospesa dentro nuvole basse a impedire di guardare al di là di quella densa coltre di fumo. Le previsioni a promettere schiarite per il mattino dopo, le facce dubbiose degli esperti del gruppo davanti ai loro computer da polso: pressione costante, non cambierà niente. E così è stato.
Colazione alle cinque con la stessa nebbia, attorno alla casa, di quella appostata imperterrita là fuori da giorni. La cima prevista non si può fare. Ci si concede altre due ore di attesa, magari muta qualcosa, magari qualcuno si arrende davanti all’insistenza di chi ci vuol provare lo stesso. Il gruppo aspetta, si racconta, alterna soluzioni e reticenze, perde qualche pezzo e poi si ricompone attorno a cinque cordate. Si cambia meta, ma si esce lo stesso. Così puoi metterti quei benedetti ramponi, il cappello da giullare che ti sei portato, i guanti da neve, la piccozza e l’imbrago. E trovi posto nel mezzo di una corda che altri hanno portato fin lì: ai capi della fune che passa dal tuo moschettone, qualche passo più avanti e qualche passo più indietro, due angeli disposti a prendersi cura di te.
Metti i piedi dentro le loro orme e ti muovi nel bianco come mai avevi fatto prima. La picca a monte, la corda a valle, le punte piantate nella neve in salita, i talloni puntati nei tratti in discesa, la fune quasi tesa, la vastità che intuisci attorno anche se non si fa vedere. È un tratto breve, un’escursione veloce, e mancano i colori che regala il sole, la luce intensa che ti eri immaginato, ma è un’emozione comunque.
Ha il suono della neve schiacciata e del vento che sferza il pendio e ti bagna la faccia. Ma è anche legno che scricchiola dentro un rifugio e tre piatti di brodo a cui le verdure le hanno fatte solo annusare; è il caldo asfissiante in una camerata da quindici, i panni stesi, le parole dette davanti a una birra, il sonno interrotto dal respiro pesante di qualche trombone di troppo.
La montagna è molte cose, e ne conosci così poche, ma le nuvole basse ti hanno costretto a portare lo sguardo su un orizzonte vicino, fatto di gesti, di voci e di umori, di vite legate a una fune, di tempo condiviso, di un’impresa rimasta a metà, di strette di mano anche se l’approdo è su una piccola cima. La montagna, forse prima dei nodi che non sai ancora fare, è anche il gruppo di persone con cui hai l’occasione speciale di viverla.