testo di Daniela Zanuso – fotografie di Giovanna Monguzzi e Stefania Sangalli
Famosa per i suoi magnifici mosaici, Ravenna è una città antica, eletta per ben tre volte capitale: prima dell’Impero Romano d’Occidente, del Regno goto sotto Teoderico poi, e infine dell’Impero bizantino in Europa. L’Unesco ha dichiarato ben otto edifici della città patrimonio dell’Umanità. E la città conserva anche le spoglie di Dante Alighieri.
La tomba di Dante: un mistero lungo 500 anni
Esiliato in vita, non trovò pace nemmeno da morto. Sì perché la storia delle spoglie di Dante è un vero e proprio giallo.
Il sommo poeta morì, probabilmente di malaria, il 14 settembre 1321 a Ravenna e lì furono sepolte le spoglie nel tempio di San Pier Maggiore dove sono ancora conservate nel vicino Mausoleo di Morigia presso la Basilica di San Francesco.
I fiorentini non tardarono a reclamare la restituzione delle spoglie del poeta in più di un’occasione ma senza risultato.
Nel 1519 papa Leone X, figlio di Lorenzo il Magnifico, diede l’assenso per la traslazione del corpo da Ravenna (che era sotto lo Stato Pontificio) a Firenze. Sembrava cosa fatta e persino Michelangelo aveva perorato per la causa e si era offerto di erigere un monumento degno della fama del grande poeta. Ma all’apertura del sepolcro la delegazione fu colta da grande sgomento: nulla, le ossa erano state trafugate.
I frati francescani avevano praticato un foro nel muro per mettere “in salvo” le spoglie del poeta e il priore del convento, tale Antonio Sarti, si premurò di trasferirle all’interno del muro del chiostro dove restarono per oltre cent’anni per poi essere riposte nell’urna originaria quando fu costruito l’attuale mausoleo.
Ma pochi anni dopo, l’avvento di Napoleone e la conseguente soppressione del convento, furono occasione di un nuovo spostamento e la cassetta fu murata nell’oratorio del chiostro di Braccioforte .
E da lì se ne perse notizia, tanto che per oltre cinquant’anni tutti pensarono di rendere omaggio alle spoglie di Dante conservate nel mausoleo di Morigia.
Per oltre 500 anni le spoglie di Dante non ebbero pace, fino al 1965 quando fu rinvenuta una cassetta di legno a seguito dell’abbattimento di un muro del convento per lavori di restauro. Sulla cassetta la scritta “Dantis ossa a me Fra Antonio Santi hic posita anno 1677 die 18 octobris” non lasciarono spazio a nessun dubbio.
Resta il mistero di come la delegazione fiorentina non si avvide che la tomba di Dante aveva un foro grande almeno poco più del suo cranio.
Galla Placidia
Dal Mausoleo di Dante a quello di Galla Placidia sempre a Ravenna a pochi passi dalla Basilica di San Vitale.
Eretto fra il 425 e il 450, il mausoleo a croce latina è uno dei monumenti più suggestivi dell’epoca e uno dei simboli forti di Ravenna
Figlia dell’imperatore Teodosio, reggente dell’Impero romano d’Occidente, Galla Placidia avrebbe fatto costruire questo mausoleo per sé, il marito, l’imperatore Costanzo III e il fratello, l’imperatore Onorio. L’esterno della struttura del mausoleo è semplice, oserei dire povera.
A primo acchito nulla direbbe che ci troviamo di fronte ad una costruzione di grande valore artistico. Ma il visitatore è pronto a cambiare idea una volta entrato all’interno. Splendidi mosaici rivestono i soffiti e la volta centrale a forma di croce. I disegni richiamano episodi biblici ed evangelici.
Il contrasto fra interno ed esterno del mausoleo è fortissimo. Una contraddizione forse desiderata, secondo molti storici, perché specchio dei tempi e del modo con cui Galla Placidia concepiva la vita spirituale: la bellezza è quella dell’anima, della vita interiore, della coscienza protesa alla ricerca della Verità e della dimensione spirituale. Il mausoleo simboleggia la proiezione della vita monacale, vita che costituiva una grande attrazione per i movimenti spirituali di quell’epoca.
Il monaco con il suo dignitoso ma sobrio saio, nascondeva la sua bellezza nel profondo dell’anima e il vestito non era altro che un modo per celare il senso di una vita dedita a Dio, allo Spirito, alla ricerca della Sapienza.
Esattamente il contrario dei nostri anni, un’epoca ove l’aspetto e l’immagine sono predominanti. Il mausoleo di Galla Placidia rappresenta comunque un’eccezione perchè l’arte e l’architettura, in quasi tutte le epoche, sia per l’interno sia per l’esterno, deve rappresentare il bello, lo stupefacente, il divino.
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