Olanda: 15 anni di interrogativi sulla vita

di Eleonora Ticca

Il 1° aprile 2002 nei Paesi Bassi entra in vigore una legge che regolamenta l’eutanasia, approvata un anno prima da una larga maggioranza del parlamento olandese.

L’eutanasia viene così descritta dal testo di legge: “quando un medico pone fine alla vita di un paziente su richiesta di quest’ultimo”. Questa ampia definizione include il suicidio assistito (l’atto autonomo di porre termine alla propria vita compiuto da un malato terminale in presenza di – e con mezzi forniti da – un medico), l’eutanasia passiva (interruzione – da parte del medico – di trattamenti medici necessari rispetto alla sopravvivenza del malato) e l’eutanasia attiva (somministrazione – da parte del medico – di un farmaco che progressivamente arresti le funzioni vitali dell’organismo).

L’Olanda è stato il primo paese al mondo a legalizzare l’eutanasia infrangendo un grosso tabù. La promulgazione di questa legge, il cui titolo letterale è “legge di controllo per la cessazione della vita su richiesta o di aiuto nel suicidio assistito”, è stata preceduta da un sondaggio voluto dal governo dell’Aja per raccogliere l’opinione dei cittadini; l’esito di questo processo esplorativo ha confermato le aspettative del parlamento: l’85% dei cittadini dei Paesi Bassi è risultato favorevole alla legalizzazione dell’eutanasia.

La decisione di legiferare rispetto al tema rappresentava secondo il parlamento olandese e soprattutto secondo il Ministro della Sanità dell’epoca, Els Borst, una necessità di fronte ad una prassi (quella del suicidio assistito) che già avveniva in un vuoto legislativo che non tutelava a sufficienza le persone malate, i loro familiari ed i medici.

Dotandosi di un testo di legge che regolamentasse la pratica dell’eutanasia i Paesi Bassi hanno così permesso la strutturazione di un iter molto preciso e scrupoloso per condurre i pazienti affetti da mali incurabili verso una morte dignitosa, l’istituzione di Commissioni apposite che valutassero i diversi casi e accertassero la good practise dei medici coinvolti e la creazione di registri pubblici per tenere monitorato l’andamento di questa pratica terapeutica.

È impossibile in questo giorno non interrogarsi su cosa questo anniversario possa dirci del vuoto legislativo in Italia rispetto all’eutanasia e all’assoluta mancanza di impegno da parte dei nostri parlamentari rispetto al tema: un recente sondaggio di SWG riporta che il 74 % degli italiani si dichiara favorevole ad una legge che regolamenti l’eutanasia. È così diverso il nostro 74% da quel 85% che convinse il parlamento olandese?

È evidente, però, come il tema dell’interruzione volontaria della vita non investa esclusivamente la dimensione legislativa, politica e pubblica: esso interroga e impegna anche un piano privato, etico e religioso. Le dichiarazioni dell’Arcivescovo di Utrecht ci ricordano l’inconciliabilità di questi due aspetti: “Diminuire la sofferenza è un obbligo ma la vita e la morte appartengono al Signore, non all’uomo”. Sulla disponibilità della propria vita si incontrano e scontrano bioeticisti laici e cattolici: il dibattito complica, o forse più correttamente rende maggiormente complesso, l’approccio all’eutanasia.

 

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