di Davide Villa
Il mondiale di Russia 2018 è entrato ufficialmente nella fase calda. Abbiamo purtroppo salutato i nostri amici del Perù nella fase a gironi. La bella vittoria 2-0 contro l’Australia aumenta solo i rimpianti sul rigore sbagliato contro la Danimarca…ma di questo abbiamo già parlato.Le prime partite degli ottavi invece hanno registrato un vero e proprio terremoto nel pantheon degli dei calcistici: sia Cristiano Ronaldo sia Messi tornano mestamente con le proprie squadre a casa.
Non sono bastati 10 palloni d’oro in due per trascinare i propri compagni oltre l’ostacolo del primo turno ad eliminazione diretta.
Si chiude forse così, date le età sportivamente non verdissime (Messi nato nel 1987, CR7 nel 1985), la storia ai Mondiali dei campioni più segnanti dell’ultimo decennio. Una storia con molto amarezze e pochi lampi. Nessuno dei due è mai riuscito a segnare in una partita ad eliminazione diretta, nonostante i numeri nelle squadre di club siano da extraterrestri.
Insomma nessuno dei due ha mai vissuto un’estate mondiale appagante.
Di estati “paganti” invece ne hanno vissute e ne vivranno ancora molte, assommando qualcosa come 60mln di Euro di stipendi corrisposti dai club, con CR7 alla ricerca probabile di un cospicuo aumento proprio in coda al Mondiale.
Cifre incredibili e forse anche poco etiche, pur essendo i due sopracitati nell’elite dell’elite dei campioni del gioco del calcio. Spesso nello sport l’equazione “Soldi = Risultati” è sovvertita dalla capacità del campo di livellare tutto, di rendere tutti uguali nello scopo ultimo della vittoria.
Sponsor, stipendi, fama e palmares non contano dopo il fischio dell’arbitro, anzi a volte sono il carburante necessario agli sfavoriti per andare oltre i propri limiti, per dimostrare che non è con la pecunia che si misura il valore.
I più pagati non sempre sono i più appagati dal risultato finale. L’esempio più lampante ce lo ha fornito, ahinoi, la nostra azzurrissima nazionale di calcio maschile, non più tardi di 8 mesi fa.
Italia-Svezia, qualificazioni Mondiali, dentro o fuori in uno dei più classici esempi di Davide vs Golia.
Sappiamo tutti come è andata…
Quello che forse non tutti sanno è l’enorme disparità di paghe tra i nostri azzurri e i colleghi svedesi. Stando agli 11 titolari battiamo agevolmente la Svezia 3 a 1. Ovvero le paghe degli azzurri sono 3 volte quelle dei pari ruolo svedesi (40mln vs 13mln). Una differenza che in campo purtroppo non ha dato i risultati sperati.
Per il calcio pare, quindi, che il vecchio adagio che recitava “Chi più spende meno spende” non funzioni visto che la mancata partecipazione ai mondiali ha fatto perdere alla federazione circa 50mln di Euro. Ma c’è sempre un contraltare su cui ancorare la speranza che il gioco più diffuso al mondo non sia diventato solo uno spot costoso ed artificiale.
La roboante caduta del calcio maschile, figlia di programmazione approssimativa e di poteri sempre più spostati verso il rapido guadagno, ha fatto sì che la luce dei riflettori riuscisse ad arrivare su altre più meritevoli realtà. Come spesso anche al di fuori dello sport, bisogna trovare nelle donne la forza di andare avanti.
La nostra nazionale femminile di calcio ha raggiunto l’obbiettivo fallito dagli uomini: portare il tricolore al mondiale. L’8 giugno 2018, dopo un’attesa di 20 anni, le ragazze guidate dal CT Milena Bertolini hanno battuto a Firenze con un rotondo 3 a 0 la nazionale Portoghese regalandosi così con un turno di anticipo la partecipazione al mondiale che si terrà nel 2019 in Francia.
Un sogno raggiunto per queste ragazze e per un movimento che ancora lotta per perdere la nomea di “Sport minore” che tanto piace ai giornalisti non appena si trovano a scrivere di una competizione che esula dallo standard mediatico. Anche perché relativamente al calcio femminile, i numeri sono solo in crescita costante.
In Europa il numero di calciatrici è cresciuto del 7.5% nel 2017 arrivando a più di 1milione e trecentomila calciatrici tesserate, raddoppiando anche il numero di calciatrici professioniste o semi-professioniste. Un movimento che cresce come sponsor e visibilità, portando ad esempio tutte le gare della Serie A femminile in diretta su Facebook.
L’impegno poi delle grandi squadre maschili di creare corrispettive squadre femminili fa sì che si creino punti di riferimento per ogni ragazza che vuole indossare i tacchetti.
Nella Serie A femminile, sono presenti le corrispettive squadre femminili di Juventus, Fiorentina, Chievo Verona, Atalanta, Empoli e Sassuolo, mentre in Serie B è presente la Lazio e l’Inter.
Un volano di questo tipo aiuta a far crescere la conoscenza del calcio femminile in tutto il paese, e non più a quelle realtà un po’ più locali che non sempre riescono a smuovere grandi interessi.
In Italia in numeri delle calciatrici tesserate crescono ma ancora ben lontane dai numeri delle big europee, circa 24000 contro le oltre 200000 della Germania ad esempio.
Analizzando poi il numero di calciatrici professioniste in Italia ne esce una cifra tonda: ZERO
Per una legge datata 1981 infatti, sono solo sei su sessanta le discipline sportive considerate professionistiche: calcio, golf, pallacanestro, pugilato, motociclismo e ciclismo. Ma solo per gli uomini.
Tutte le grandi sportive italiane, dalla Pellegrini alla Goggia sono infatti da considerarsi “dilettanti”.
Ma la di là di un titolo che suona come una presa in giro, non essere riconosciute come professioniste non permette di accedere alle garanzie previdenziali, sanitarie, contrattuali previste per i lavoratori del settore. Perciò niente in termini pensione, maternità, malattia o infortunio se volete fare le sportive “di lavoro”.
Tornando sugli stipendi poi un confronto pare impossibile: il solo stipendio annuo di Buffon è pari all’intero budget riservato al calcio femminile dalla Figc (4,5 vs 4,2 milioni). Ma anche su questo fronte qualcosa si sta movendo.
Tralasciando gli stipendi dei club su cui vigono leggi di mercato difficili da scardinare (maggior visibilità, sponsor, strutture), almeno in Nazionale gli stipendi possono essere allineati tra uomini e donne.
E’ la scelta fatta dalla Norvegia, dove i giocatori delle nazionali di calcio maschile e femminile dal 2018 riceveranno infatti lo stesso compenso; infatti i calciatori, pagati praticamente ovunque nel mondo più delle colleghe, contribuiranno economicamente alle retribuzioni della nazionale femminile.
Piccoli passi, segnali che ci si può muovere verso uno sport più equo e corretto. Una realtà in cui non conta essere solo pagati, ma soprattutto appagati. Sportivamente ed eticamente.
Buon proseguo di mondiali a tutti, e che vinca il migliore!