Parole e azioni per educarci alla pace

di Francesca Radaelli – foto di Matteo Corvino

La pace è possibile, non solo a parole. Al contrario spesso sono proprio le parole a renderla possibile. Questa è la buona notizia che il convegno dal titolo ‘Educazione alla pace’ – in scena sabato scorso a Monza presso l’Urban Center, organizzato come da tradizione dall’UPF Monza in occasione della ricorrenza, il 21 settembre, della Giornata internazionale della pace – ha regalato a tutti coloro che vi hanno partecipato. Una convinzione che è andata rafforzandosi nel corso della mattinata, ascoltando i relatori che si sono avvicendati nel corso dell’incontro e che Carlo Chierico, presidente UPF Monza, ha avuto il grande merito di far dialogare tra loro, conducendo la mattinata insieme alla giornalista del Giorno Cristina Bertolini: tutti, a vario titolo, in diversi ambiti e con modalità differenti, impegnati nella costruzione di quello che oggi in troppi considerano ormai un sogno irrealizzabile, un’utopia, una parola che quasi ci si vergogna a pronunciare, o che si pronuncia a bassa voce per timore di essere accusati di ‘buonismo’. Pace è una parola che non sembra andare troppo di moda nel mondo di oggi.

Da sinistra: Carlo Chierico, Cristina Bertolini e Fabrizio Annaro

A partire da quello dell’informazione, come ha evidenziato in apertura Fabrizio Annaro, fondatore e direttore di un giornale – il Dialogo di Monza – nato sul web nel 2013 per mettere in prima pagina ‘la provocazione del bene’. Il bene che di solito non fa notizia. “Il bene c’è. La grande scommessa è farlo diventare notizia”, ha affermato con forza Fabrizio Annaro. “Non voglio negare la guerra, che è giusto raccontare e denunciare. Ma negare che esiste il bene è come negare una parte di noi stessi, una parte di umanità, che esiste e agisce. Sono tutte quelle persone che si mettono in moto per costruire la pace e a cui cerchiamo di dare spazio sul Dialogo.

Qualche esempio? Recentissimo quello del Paese Ritrovato, il villaggio per i malati d’Alzheimer realizzato proprio qui a Monza. Ma anche incontri come quello tra Agnese, la figlia di Aldo Moro e l’ex brigatista Franco Bonisoli, avvenuto qualche anno fa proprio nella nostra città”. Insomma occorre raccontare il bene che esiste, per rispetto ai lettori stessi. Citando lo scrittore Leonardo Sciascia: “Stiamo vivendo un periodo difficile, ma per il cristianesimo può essere il momento migliore: siamo chiamati a compiere delle scelte. E sono convinto che oggi saremo in grado di difendere la pace se difenderemo la memoria, a partire da quella degli orrori che hanno attraversato l’Europa nel Novecento”.

Da sinistra: Carlo Chierico, Cristina Bertolini e Corrado Accordino

“Occorrerebbe che gli uomini chiamassero le cose con il loro nome”, gli fa eco più tardi il regista Corrado Accordino, direttore della Compagnia della Arti di Monza, citando un altro grande scrittore, Lev Tolstoj. “La parola è il più alto livello di astrazione a disposizione dell’uomo. L’uomo è creatore di parole ma anche le parole creano qualcosa di noi. Ciò che noi ascoltiamo forma il nostro pensiero. E oggi, ciò che ascoltiamo non è un linguaggio di spiritualità. Al contrario continuiamo a nutrirci di una grossa dose di aggressività: ci nutriamo di guerra ed è come se vivessimo la guerra. Per questo occorre parlare anche di pace. Continuare a raccontare il peggio del mondo è nocivo per noi”.

Ettore Fiorina

E dopo il risuonare dei versi di forte spiritualità cristiana del poeta Elio Fiore recitati dalla voce sempre ispirata di Ettore Fiorina, risulta apprezzatissimo, pur in ‘differita’, il video-contributo di un laico, il senatore Roberto Rampi. Parlando in occasione delle celebrazioni della Giornata internazionale della pace tenutesi a Roma il giorno prima, e raccontando la sua esperienza di partecipazione alle attività dell’Upf, Rampi ha ribadito l’importanza dell’esempio di chi, come l’UPF, continua a fare cose ‘fuori moda’: credere nella pace e nei diritti umani, credere nella politica dei parlamenti, credere nel ruolo delle culture religiose ai fini della costruzione di pace.

Ma il senatore si è soffermato ancora una volta proprio sull’importanza delle parole, anche in relazione alla politica: “Sono convinto che la politica non sia da concepire solo come governo e produzione di leggi, ma anche come elemento che dà valore alle parole. Spesso le parole ci sfuggono, anche per via della velocità dei mezzi di comunicazione che utilizziamo, che riducono il tempo tra il pensiero e la parola.  Un tempo che invece deve essere recuperato, per restituire profondità alla parola. Penso che il parlamento debba essere il luogo della parola e del ragionamento, del confronto: non concepisco per esempio che ci siano provvedimenti ed emendamenti che vengono approvati nel giro di pochi minuti.”

Il video contributo di Roberto Rampi

 

Sono parole visionarie quelle del reverendo Moon, fondatore dell’UPF, che nel passo di un suo libro letto da Carlo Chierico immagina la costruzione di una grande autostrada in grado di collegare tutte le aree del mondo, proprio come i vasi sanguigni percorrono tutto il corpo umano, facendo cadere ogni confine e spingendo gli uomini a dialogare gli uni con gli altri. Parole visionarie, certo. Eppure è già accaduto che i sogni di grandi visionari si siano realizzati.

La presentazione del Sermig

E un visionario è stato anche Ernesto Oliviero, il fondatore del Sermig, l’arsenale della pace di Torino, che rappresenta una delle realizzazioni più belle, compiute e feconde della pace all’interno di un territorio urbano: a raccontare la sua storia sabato scorso c’era, dal Sermig, Renato Bonomo. È  la storia di un sogno, cominciato con la fondazione del Sermig-servizio missionario giovani nel 1964 quando Ernesto era appena maggiorenne e con la moglie e gli amici aveva un desiderio enorme: sconfiggere la fame in tutto il mondo, perché come, dice ancora lui stesso, “quando uno ama, ama senza misura”. Dopo aver ottenuto, 19 anni dopo, dal comune di Torino, di poter utilizzare gli spazi del vecchio arsenale militare, Ernesto decide di realizzare la profezia di Isaia: trasformare gli strumenti di guerra in strumenti di pace. Nasce così l’arsenale della pace.

Oggi, all’ingresso, ci si imbatte subito nella bandiera della pace. “La pace per noi, sin dall’inizio, non era un concetto astratto ma era dare da mangiare a chi non ce l’ha, dare un vestito a chi non ce l’ha”, sottolinea Renato Bonomo. “Sentivamo che il mondo era la nostra casa, che la nostra storia doveva entrare nella Storia con la esse maiuscola. Ma senza clamore, con il nostro impegno di tutti i giorni. Era inaccettabile per noi che ci fossero nel mondo persone che morissero di fame. E quando qualcuno ha iniziato a bussare alla nostra porta, noi abbiamo aperto e abbiamo iniziato anche a dare un letto a chi non ce l’aveva”. Una storia di accoglienza dei senza tetto che dura da vent’anni, grazie all’impegno gratuito dei volontari. 

Ma la piccola storia di Ernesto continua ad andare avanti, diventa sempre più grande: nasce il poliambulatorio, grazie al coinvolgimento di medici volontari, la scuola di musica, la scuola di artigianato. L’arsenale ha la porta trasparente, perché tutti ci possano guardare dentro e dal Sermig si possa guardare il mondo. E poi l’attenzione ai giovani, le tante proposte per i ragazzi del quartiere e per quelli che vengono da fuori, l’importanza di partire da loro per educare alla pace: “Solo loro, oggi i più poveri”. Lavorando per trasformare l’arsenale, i volontari del Sermig lo hanno capito: “Occorre disinnescare le bombe, e le vere armi, che sono le persone, siamo noi. Ciò che dobbiamo convertire sono i nostri cuori. Perché vogliamo dire no alla guerra nel mondo ma lo vogliamo fare partendo dalla vita di tutti i giorni. Perché la nostra storia fa parte della storia del mondo.” E poi la frase che sintetizza tutto: “La bontà è disarmante”, regalata al Sermig da un ex brigatista.  E la convinzione che una goccia che cade tutti i giorni riesce a scavare anche la pietra più dura.

Insomma è una strada a cui guardare, quella che ERnesto e gli amici del Sermig sono riusciti a tracciare, dimostrando che quando tra convinzioni, parole e azioni c’è continuità diretta è davvero possibile realizzare in concreto opere di pace. Che la costruzione della pace è alla portata di tutti.

Wesam e Godwin

Di progetti concreti per le donne e i giovani, anche sul territorio monzese, alla presenza di Pierfranco Maffè, Assessore all’Istruzione Comune di Monza, hanno parlato Wesam El Husseiny, impegnata nell’insegnamento della lingua araba a Monza, e Godwin Chionna, promotore del progetto dei Giovani studenti per la pace all’interno della stessa Upf, mentre il monaco buddista Cesare Milani, ha sottolineato come la spiritualità non debba risiedere per forza in un credo religioso, ma possa essere anche laica, possa trovarsi anche nella concretezza di azioni animate da uno spirito “etico ed empatico, consapevole dell’interdipendenza tra tutto e tutti”.

Quello stesso spirito che anima i volontari del Sermig, che manifestano la spiritualità attraverso la buona azione. “Mettere davanti il bene degli altri è ciò che anima la spiritualità buddista. Le persone e il mondo cambieranno quando la loro attenzione non sarà più focalizzata su sé stessi, ma sul mondo. Invece i giornali e le tv tendono a togliere spazio alle notizie che allargano lo sguardo al mondo: per questo siamo convinti che l’Europa sia al centro dell’universo. Ma non è vero”. La spinta verso la pace, secondo il monaco Cesare, è propria di tutte le religioni: “Gli stessi valori del buddismo si trovano anche in altre religioni: cambia solo la loro formulazione, sono verità universali. Dentro tutti gli uomini c’è un’essenza di purezza”. E, in fondo, costruire la pace consiste nel dare spazio e far vivere la purezza che è in tutti gli uomini.

il monaco Cesare Milani

È anche questo il motivo per cui un testo ‘sacro’ come la Bibbia dei cristiani può parlare a tutti, essere letto come “una straordinaria scuola di umanità”. Ne è convinto il teologo Brunetto Salvarani: l’intervento di presentazione del suo ultimo libro, “Teologia per tempi incerti” ha chiuso la mattinata: “La Bibbia può essere letta come un vero e proprio progetto di umanizzazione. Lo diceva già il cardinal Martini: la Bibbia è il codice dell’ospitalità. È un libro capace di parlare a tutti se ci educhiamo a leggerlo. I personaggi biblici sono uomini come noi: piangono, ridono, amano, si inquietano, sperimentano speranza e disillusione.

La storia di Giacobbe ed Esaù consiste nel progressivo educarsi a sapere cosa vuol dire essere fratelli, Gesù stesso deve affrontare la difficoltà di non essere capito proprio da coloro che meglio avrebbero dovuto farlo, i sacerdoti”. Anche la figura di Giobbe, divenuto celebre per una proverbiale e ‘sovraumana’ pazienza, secondo Salvarani è stata letta a lungo in maniera sbagliata: “Giobbe non è paziente, al contrario: vive sin dall’inizio con impazienza le ingiustizie che gli capitano, fino a giungere al punto, esasperato, di convocare a giudizio Dio”.

Brunetto Salvarani insieme ad alcune partecipanti al convegno

Insomma, non c’è dubbio che quelli che stiamo vivendo siano ‘tempi incerti’. Ma lo spazio per costruire la pace esiste sempre: si trova nella spiritualità, nelle parole e nelle azioni. Da quelle dei grandi ‘visionari’ a quelle che scegliamo di pronunciare e realizzare nella vita di tutti i giorni. Perché in fondo sta a noi dare spazio al bene nelle nostre vite. E scegliere di educarci alla pace.

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