Paweł Adamowicz: quando l’impegno ha il prezzo della vita

di Achille Taccagni

Chiunque decida di mettersi al servizio della propria comunità, del bene comune, sa già in partenza che dovrà sacrificare tempo ed energie per il proprio impegno. Spesso non ci si rende conto di quanto si rischia di perdere: amicizie, affetti, appelli d’esame, opportunità lavorative, concerti, viaggi, sonno, molto sonno. Fa parte del gioco: dall’altra parte c’è il desiderio – spesso una spinta inarrestabile, innescata da meccanismi profondi che possono variare da persona a persona – di contribuire al cambiamento di ciò che ci circonda, di sentirci parte attiva di un processo, della contemporaneità. Si accettano, le perdite.

Nessuno, però, mette in conto di sacrificare la propria vita. E questa è certamente una fortuna, per noi che viviamo in un sistema democratico e in un’epoca in cui i dati parlano di un costante abbandono della violenza fisica come metodo di risoluzione delle controversie. Una fortuna che non è dei giovani di tutto il mondo, anche se a volte ce ne dimentichiamo, ma che almeno da questa parte del pianeta ci permette di scegliere una strada – quella dell’impegno politico – senza pensare nemmeno per un momento di doverci lasciare la pelle.

Per questo la morte del sindaco di Danzica è una notizia drammatica: perché viola quel patto con se stessi che ciascuno di noi fa nel momento in cui firma la propria candidatura. È come una morte sul lavoro, da un certo punto di vista lo è a tutti gli effetti, ma con l’aggravante di essere accaduta non per fatalità ma proprio ‘per’ quel lavoro, per quel ruolo che la vittima ricopriva, quell’impegno che aveva deciso di donare alla propria comunità.

Questa notizia mi ha distrutto. So poco della Polonia, pochissimo di Danzica, eppure mi sembra che sia stato ucciso un vicino, un compagno, un collega. Sono convinto che la sua morte ponga una domanda chiara e semplice a tutti coloro che sono stati eletti a una qualunque carica politica, di qualunque genere e livello: cosa facciamo noi ogni giorno per emarginare la violenza?

Quanto invece, nelle nostre parole e azioni, mettiamo odio anziché passione, condivisione e spirito di servizio?

Quando ci serviamo della violenza verbale per scalare posizioni ed ottenere visibilità, ci rendiamo conto del fatto che stiamo facendo un male enorme e insanabile alla nostra comunità?

Oggi più che mai, riflettere su questi temi diventa un dovere, per ogni cittadino convintamente democratico. L’impegno per una politica finalmente priva da ogni violenza credo sia il miglior modo per ricordare Paweł Adamowicz, e per portarne il lutto.

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