di Daniela Annaro
Nomen omen, il nome è un presagio, dicevano i latini. In casa Cascella, in mezzo a scultori (il fratello maggiore Andrea), pittori (lo zio Michele e il nonno Basilio), ceramisti (il padre Tommaso), a lui, il 2 febbraio 1921 toccò come nome di battesimo Pietro. Un segno del destino, poiché, dopo i primi lavori come pittore e ceramista, il suo materiale prediletto, (quello per cui divenne famoso e richiesto), era la pietra. E, come titolarono i quotidiani il giorno della sua scomparsa, Pietro Cascella era davvero un grande maestro della pietra.
Decise di dedicarsi completamente alla scultura nei primi anni Cinquanta, subito dopo aver frequentato l’Accademia a Roma e dopo aver partecipato nel 1943, nel pieno della Seconda Guerra Mondiale, alla IV edizione della Quadriennale romana e cinque anni dopo, nel 1948, alla prima Biennale di Venezia in versione postbellica.
Traguardi artistici molto qualificanti per un giovane poco più che ventenne. Da quel momento in poi, è un crescendo di mostre e commissioni. La più importante e significativa avviene nel 1947, quando con il fratello vince il concorso per il monumento di Auschwitz. Ci vorranno vent’anni per vederlo realizzato, come racconta lui stesso in questo filmato.
“Impegno civile quello che mi ha sempre motivato ” dice Pietro Cascella all’intervistatrice.
Un impegno indiscutibile. Oltre ai martiri di Auschwitz, Pietro realizza l’Arco della Pace a Tel Aviv, il monumento a Giuseppe Mazzini, in piazza della Repubblica a Milano, il monumento alla Resistenza a Massa Carrara. Opere monumentali anche quando non sono di ampie proporzioni. Con forme decise, massicce e, nel contempo, essenziali e simboliche. Un tratto inconfondibile che, agli inizi degli anni Ottanta, richiamò l’attenzione di molti collezionisti privati, tra cui Silvio Berlusconi. Nella piazzetta di Milano 2, poco distante dal Laghetto dei cigni, una scultura imponente troneggia e abbellisce il luogo.
Cascella, all’epoca, era il più noto tra gli scultori “pubblici” italiani, il nostro Henry Moore.
Scrive Enrico Deaglio nel suo libro Indagine su un ventennio per raccontare della committenza del Mausoleo che Cascella realizzò a Arcore. Una dimora faraonica,sotterranea con un’imponente scalinata, un grande portone di ferro e una tomba centrale e poi un “dormitorium” con trentasei loculi. Un’opera che fece molto parlare di se’, soprattutto per via del committente, Berlusconi, e che fece storcere il naso – non per la qualità del lavoro – a tanti, forse troppi, legati a una visione manichea della realtà.