di Safia Zappa
Platone, nel Simposio, parla di eros. Ma che cos’è l’eros? E soprattutto, perché ha a che fare con la nostra felicità?
Lontano dalla concezione odierna del termine, eros è una parola greca e originariamente è un dio greco, figlio di Poros e Penìa, ovvero di espediente (o ingegno) e povertà. Questo testimonia la sua natura, quella di essere sempre in bilico tra ricchezza e mancanza, il suo mancare di ciò che desidera.
Letteralmente, eros è “amore”: per Platone, quindi, l’amore è qualcosa di incompleto; qualcosa che non si realizza senza un oggetto del desiderio. Questa condizione di precarietà pervade l’animo umano, che è continuamente soggetto ad emozioni, come appunto l’amore. E’ l’uomo ad essere essenzialmente eros, “mancanza”, in costante movimento verso ciò che gli manca. Ma di più, l’intera realtà è eros, sempre a metà strada tra oblio e ricordo, ignoranza e sapienza, mortalità e immortalità.
Dall’uomo antico a quello moderno, dal mito alla realtà, l’uomo rimane costantemente un essere dannato, imprigionato in una “terra di mezzo”, dalla quale può “vedere oltre”, ma dalla quale non può allontanarsi.
Ma quindi perché dovremmo essere felici?
Perché questa condizione di ricchezza/povertà dell’uomo, che ci pone sempre nella dimensione del desiderio, della brama, è ciò che dà senso all’esistenza, è ciò che mette in moto l’anima che sta dentro di noi, ciò che ci permette di avere sogni e sfide, che ci permette di non fermarci mai nel voler essere sempre migliori.
Sebbene per Platone ciò che smuove l’animo, ovvero le passioni, è dannato, e andrebbe rigettato nella ricerca di una sorta di quiete che si realizzerà poi con l’uscita dal corpo, e quindi la morte, grazie a lui possiamo renderci consapevoli della nostra condizione umana e comprendere che la nostra suscettibilità alla tristezza ci permette di essere suscettibili anche alla felicità.
La natura dell’uomo non è statica, ma estremamente dinamica. E’ quella di essere in una continua tensione, perché, data la nostra imperfezione, siamo sempre tesi a qualcosa di più, a qualcosa che possa completarci.
E’ l’imperfezione a scatenare le passioni, le passioni ci rendono dannati, ma solo loro possono renderci felici.