Politica del carillon e cantastorie

di Paola Biffi

Nomi e parole passano ai telegiornali, alle radio e nei discorsi comuni, sempre le stesse parole, gli stessi nomi, quasi che a metterli in fila sembrano rime e intonazioni, a creare una filastrocca cantilenata, come quella delle fiabe.
Come le fiabe, sono rassicuranti e ci cullano, finché non ci accorgiamo dell’inquietudine che nascondono, sublimata dalle rime e dalla cantilena, e diventano colonna sonora di film horror e chi le dice è l’ennesimo clown dagli occhi infuocati.

È la politica del carillon, qualcuno carica a dovere gli ingranaggi ed eccoci tutti a girare intorno sulla giostra, accompagnati dall’allegra musichetta, tutti si muovono, balla la ballerina, eppure nessuno si muove, nessuno balla. Forse è proprio l’immobilità il potere più forte di questa politica, la ninnananna ci addormenta, ci paralizza, e per alcuni è un sogno, per altri è un incubo, per nessuno pare essere realtà.

La mia inquietudine risiede qui, su questa giostra, e più di una volta in questi giorni mi sono chiesta come, dove e a chi rivolgermi, per ritrovare un movimento, per sciogliere le gambe tese della ballerina.

Nelle favole le filastrocche sono le parole delle streghe e della magia, il racconto però ha sempre un ritmo diverso, più scomposto, più reale: è la voce del cantastorie, a lui sono affidati i personaggi, a lui il destino; il cantastorie possiede i racconti dell’umanità e li restituisce al lettore, da loro sincerità, pagine, futuro.

Ai telegiornali le filastrocche sono le parole dei politici e dell’indifferenza, la storia però ha sempre un ritmo diverso, più scomposto, più reale: è la voce sociale, dei volontari, dell’attivismo, degli operatori delle ONG e di tutti coloro che vivono ogni giorno insieme ai personaggi, e li scoprono uomini, e a loro provano ogni giorno a dare sincerità, pagine, futuro.

Non sono sordi alla politica, all’odio, all’egoismo, ma hanno l’antidoto dell’esperienza: con l’azione si abbatte il silenzio, dall’incontro si scopre verità.

Ad oggi, il senso di frustrazione, di ingiustizia e di impotenza di chi ha scelto di lavorare nel sociale è alto quanto i muri che si innalzano a nascondere l’Altro, aumentano i margini sociali e diminuiscono i margini d’azione.

Chi vive, abita, lotta in queste periferie dell’umanità ha il compito oggi ancora più forte di testimoniare la realtà, farsi bandiera di verità e difendere la difficile concretezza delle storie di vita dagli slogan e pozioni magiche di chi pretende di conoscere quel che non sa.

Solo chi si sporca le mani, chi sente gli odori e chi ha il coraggio di guardare in faccia un uomo che chiede aiuto può oggi dare un’alternativa alla banalizzazione e all’odio.

E a ciascuno il dovere di cercare, di questa favola, la morale.

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