di Marco Riboldi
Da tempo, tra le parole che si sono imposte nella discussione politica il termine populismo ha trovato uno spazio e un rilievo notevoli.
Qualche riflessione in merito non pare superflua.
Come noto, il termine ha una lunga storia: nasce per definire una serie di movimenti che nel XIX secolo in Russia invitavano a costruire una alternativa alle condizioni di disagio e miseria del popolo soprattutto delle campagne, trova poi varianti di vario genere che vanno da una sorta di socialismo rurale all’anarchismo, approda brevemente anche negli U.S.A., seppur con connotati differenti.
In comune vi è la proposta di superare le mediazioni politiche attuate tramite partiti e corpi intermedi istituzionalizzati per un contatto diretto tra il popolo e i leader che incarnano l’ansia di rinnovamento.
Di per sé il populismo non è fenomeno storicamente connotabile con una precisa area politica (può cioè essere di destra o di sinistra indifferentemente). Qualcuno trova in Rousseau, con la sua “volontà generale”, un precursore, altri identificano in alcune esperienze politiche (dal bonapartismo al peronismo, passando per i fascismi europei) i connotati tipici del fenomeno.
Certo, se consideriamo la caratteristica tipica della diffidenza nei confronti delle élites, il populismo sembrerebbe oggi caratterizzato più a destra (la sinistra ha perfino troppa propensione a considerare e considerarsi élite), come molti esempi possono indicare.
Cerchiamo comunque di trovare qualche caratteristica fondamentale che ci aiuti a comprenderlo. Ne indicherò tre, a mio avviso le più interessanti al momento.
Le colpe dei politici
Il primo elemento mi pare quello della costante attribuzione di colpe (generali) ai politici (generici).
Il populista si presenta sempre come differente dai politici, e in genere da chi occupa posizioni di vertice (le élites, appunto), anche quando si propone di svolgere un compito eminentemente politico. Il populista non è come “gli altri”: indica nella corruzione, nella schiavitù ad interessi inconfessabili, nella insensibilità ai veri problemi della “gente” le caratteristiche dei politici “altri”, che il suo programma/progetto/movimento saprà superare.
Con questa messa sotto accusa, che inevitabilmente tocca la sensibilità di molti elettori, da un lato evita di chiarire con precisione il contenuto di alcune critiche (non sono mai prodotte, per esempio, le prove della denunciata sottomissione ai “poteri forti” non identificati), dall’altro più che un programma propone una sorta di palingenesi nazionale che verrebbe attuata dando credito alle qualità di onestà, disinteresse, vicinanza al popolo del populista.
In sostanza, il primo elemento del populismo è la denuncia della incapacità/disonestà degli “altri” : non servono prove, non occorrono ragionamenti, basta la presunta evidenza dei fatti.
Il populista è sempre antisistema (talvolta questa posizione è paradossalmente assunta da personaggi che nel sistema soprattutto economico sono inseritissimi) e riporterà il popolo al potere dopo la usurpazione dei “politici” (se proprio devo dare una indicazione, direi che il discorso di insediamento del Presidente Trump, costituisce un esempio da manuale).
Le soluzioni
Quando si passa alla analisi dei problemi, ciò che colpisce nel populismo è che la soluzione a problemi complessi e da tempo irrisolti risulta in effetti sempre di una disarmante semplicità.
Il programma populista ha sempre una risposta pronta ad ogni questione, ed è una risposta di facile attuazione, generalmente poco onerosa per la massa degli elettori.
Senza ricorrere ad esempi storici clamorosi (talvolta nella loro tragicità: c’era chi voleva vincere la guerra con “otto milioni di baionette” e sappiamo come è andata a finire) non sarà difficile cogliere nel quotidiano della polemica politica la disinvoltura con la quale molti politici affrontano spericolatamente questioni di grande importanza come fossero affari da risolvere in poche mosse.
Questo atteggiamento è figlio del primo. Il populista ci dice che in realtà i problemi non sono difficili: se fino ad ora non si sono risolti è perché non si voleva (per motivi vari, ma sempre poco chiari e sospetti).
Va detto che questo atteggiamento riflette e rinforza la convinzione della opinione pubblica che si lascia convincere dai populisti: sono quegli strati dell’elettorato che sono convinti di questo complessivo complotto contro “la gente” e che significativamente hanno sempre pronta una soluzione per ogni questione, “se solo lasciassero fare a noi”.
Non è questione di secondaria importanza, perché oggi la comunicazione politica occupa un ruolo ancora più fondamentale di ieri e quindi la sintonia profonda con istanze e emozioni di base dell’elettorato costituisce un elemento essenziale.
Il populismo dice alla gente quel che la gente vuol sentirsi dire, perché è quel che sente dentro di sé come istanza confusa e magari non socialmente accettabile.
A molta parte del pubblico, oggi non piace più il ragionamento complesso ed articolato che mostra le difficoltà e la precarietà delle soluzioni. Il successo di tante trasmissioni televisive e di tante opinioni assolutamente semplicistiche sui social media lo dimostra: fa breccia il colpo emozionale, ad effetto, capace di rispondere al qui ed ora con una presunta efficacia che viene asserita con forza e convinzione. Il sistema delle notizie false, anche clamorosamente false, funziona su questa base.
Il consumismo politico
Cosa possiamo concluderne? Anzitutto che se il populismo ha successo è anche, forse soprattutto, perché la politica ha commesso molti di quegli errori che le vengono imputati (corruzione, distanze eccessive dalle esigenze popolari ecc.): non prenderne atto e non creare efficaci rimedi sarebbe sbagliato e letale. Ma qui si analizza il populismo.
E allora mi pare interessante notare come questo atteggiamento corrisponda a quello commerciale del consumismo odierno. Come il consumismo cerca di creare un bisogno, sollecitando stili di vita che inducono ad acquistare taluni prodotti, così il populismo davanti a bisogni veri o percepiti come tali (si pensi alla differenza tra dati relativi alla sicurezza e la cosiddetta “sicurezza percepita”) o addirittura indotti, propone soluzioni miracolistiche e sempre rispondenti al sentire più immediato.
Tutto gioca sulla illusione di superare tutti gli errori del passato, attribuiti sempre a colpevoli interessi di parte, con la purezza di intenzioni e di pratica della nuova proposta politica.
E come tutti i prodotti di consumo, anche il populismo è destinato ad essere, appunto, consumato, quando una nuova ondata di “puri” epurerà i precedenti “salvatori della patria”.
A meno che un sensato programma non populista riesca a far breccia nell’elettorato con proposte credibili e serie. Sarebbe un compito urgente per le forze politiche che ritengono di doversi assumere la responsabilità di una visione più ampia e meno miope della realtà attuale.