di Enzo Biffi -Fotografie di Stefania Sangalli
La beffa più avvilente e insieme tragica della guerra sta nel fatto che dopo aver distribuito e subito massacri, brutalità e orrori, bisogna fare la pace. Dopo, e solo dopo, aver generato orfani e profughi, occorre fare una pace.
Per questo ho già avuto modo di dire che la pace vince sempre, perché non c’è alternativa per la convivenza del genere umano. Il dramma beffardo di ogni conflitto sta proprio nel fatto che per risolverlo si è condannati ad un’intesa.
Piaccia o non piaccia il compromesso e l’accordo, presto o tardi, sono inevitabili.
Se tutti quelli che iniziano una guerra si chiedessero come farla finire, probabilmente almeno dal punto di vista logico, ce ne sarebbe qualcuna in meno, con obbligata rassegnazione di certi mercanti di tragedie che si troverebbero obbligati a cambiar mestiere.
Anni tristi questi; tempi della storia più nera dove la clava si abbatte ancora prima del pensiero.
Abbiamo inventato la diplomazia che altro non è che una forma di intelligenza ma sembra che l’esercizio della stessa in questi anni sia sinonimo di debolezza. Il mito della forza come risoluzione di ogni controversia ha vinto sulla volontà di trovare un punto di incontro.
Scontro delle parti, colpe e ragioni rivendicate a forza, perdoni e assoluzioni liquidati come debolezze e irrisi dai più.
Osservata da lontano la guerra sembra perfino giusta e quasi inevitabile, ma niente a me appare più volgare dei commenti da salotto televisivo nel quale l’unico scopo sembra essere il parteggiare per questa o quella parte. Con lo stesso spirito fazioso che anima il conflitto di cui si sta discutendo, le colpe e le ragioni vengono esibite da tifoserie ben al riparo dai colpi dei cannoni.
Leggo qualcuno che sostiene della casualità della storia quando concede un periodo di pace. Considerare la pace un affetto del fato è quanto di più fallimentare si possa pensare della politica e della civiltà. La pace la si persegue con dedizione; è un lavoro continuo e dovrebbe essere l’ossessione principe di ogni politica.
Intravedere il conflitto da lontano e iniziare prevenirlo, dovrebbe essere il compito di ogni diplomazia. Cultura della pace equivale a cultura dell’umano, il resto sono solo egoismi mascherati da sofismi.
Abbiamo già visto ogni cosa, abbiamo letto della storia antica, scritto proclami sui diritti umani, firmato convenzioni internazionali, organizzato convegni, manifestazioni, scritto libri e canzoni. Istruito giornate sulla pace, sui diritti, sulla democrazia, la memoria e l’uguaglianza. Sappiamo dell’innocenza dei bambini, del dolore che non ha nome, del sangue dal colore uguale. Sappiamo delle verità negate, della moneta che ha il peso dei morti, dei grafici che crescono sui cadaveri e degli algoritmi che alimentano gli orrori.
Sappiamo anche che la violenza è uguale in ogni luogo, la crudeltà non ha padri, la sopraffazione è oscena in ogni dove allo stesso modo. Sappiamo della geopolitica e degli interessi strategici, petrolio, sbocchi sui mari, vie commerciali, materie prime e secondi fini.
Sappiamo talmente tanto che è diventato un “sapere sterile” che si confonde e ci confonde. Tutto mischiato, annullato ogni peso specifico.
Contrapposti in squadre rassicuranti, difendiamo pensieri incerti.
Immuni da ogni dolore altrui e rassegnati per difesa, restiamo avvolti in una nebbia confortante che ci isola da tutto con una visione corta e confusa.
Nel mondo che diciamo liquido ci sciogliamo in una palude che non è indifferenza ne mancanza di empatia ma molto peggio: assuefazione.
Così mi chiedo anche la necessità di queste righe, il senso di ribadire il già detto. Mi chiedo se il silenzio non sarebbe, se non proprio un atto di rispetto, almeno un gesto di pudore.
Poi vince in me il senso di un dovere antico, l’unica fede che mi rimane, l’utopia della goccia nel mare.
Mi consolo pur sapendo di questo pensiero tanto leggero che non sposta foglia, dell’ inevitabile retorica che lo sostiene ma mi ostino a credere nella sua minima efficacia.
Ancora non sono certo che “porgi l’atra guancia” sia l’unico rimedio per questa “terram”, a non ho dubbio alcuno che non ci salverà il “porgi un’altra guerra.”